La lotta per il diritto di voto femminile in Italia nell’Ottocento
Le donne italiane lottarono per tanti secoli per vedere affermarsi un diritto fondamentale: il diritto di voto. Fino all’Ottocento questo fu soltanto un privilegio maschile e le donne venivano relegate ai margini della vita sociale, politica ed economica del Paese. Nel corso dell’Ottocento una donna molto caparbia che si batté proprio per questo importante diritto fu Anna Maria Mozzoni che nelle sue opere scriveva: “la donna doveva “protestare contro la sua attuale condizione, invocare una riforma e chiedere- … – ” tra l’altro che le fosse concesso almeno “il diritto elettorale” se non anche la possibilità di essere eletta”. Giornalista e attivista per i diritti, la Mozzoni si batté affinché le donne potessero ottenere il diritto al voto; secondo lei dare voce agli interessi femminili era anche un modo per far sì che in Italia si potesse affermare una società moderna.
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La Mozzoni portò avanti numerose petizioni considerando le donne uguali agli uomini sostenendo come anche loro fossero in grado di dire la loro opinione sul piano politico, economico, sociale e culturale. Nonostante tutto però le sue petizioni rimasero inascoltate e perché le donne potessero raggiungere il suffragio si sarebbe dovuto aspettare molto tempo.
La situazione nel Novecento
Nel corso del Novecento la questione iniziò ad acquisire sempre più connotati nazionali. Ad esempio tra il 1904 e il 1905 il repubblicano Roberto Mirabelli iniziò ad essere fermamente convinto che si sarebbe dovuta portare avanti una riforma elettorale che avrebbe, a suo avviso, dovuto garantire il suffragio universale nel Paese. Nel corso del nuovo secolo anche altri personaggi femminili iniziarono a battersi per i loro diritti: oltre ad Anna Maria Mozzoni ad esempio si mobilitò per l’acquisizione del diritto di voto femminile anche una pedagogista di grande fama come Maria Montessori. Ai primi del Novecento i tempi erano ancora prematuri e si sarebbe dovuto aspettare parecchio tempo per il raggiungimento di questo grande obiettivo.
Sebbene le donne non avessero voce in ambito politico, esse colsero l’invito della Montessori: iniziarono ad iscriversi alle liste elettorali perché nessuno glielo vietava. Nuovi volti femminili iniziarono ad affermarsi nel corso del Novecento:
- nel 1909, nelle liste per le elezioni alla XXIII legislatura del Regno d’Italia, comparve per la prima volta il nome di una donna iscritta al collegio di Nuoro: la scrittrice Grazia Deledda, che fu capace di vincere il Premio Nobel per la letteratura; iscritta tra le file del Partito Radicale Italiano, ottenne 31 voti su 34;
- nel 1909 si affermò anche Anna Kuliscioff, moglie del politico socialista Filippo Turati. La donna si dimostrò favorevole all’estensione del suffragio alle donne; anche suo marito era d’accordo con lei ma disse che ancora i tempi non erano maturi perché le donne ottenessero il diritto di voto.
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Durante la Grande Guerra, con i mariti impegnati al Fronte, le donne dimostrarono di essere capaci a ricoprire anche ruoli che in passato erano appannaggio esclusivo degli uomini. Nel 1919 Don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare Italiano poneva tra i punti del suo programma anche l’estensione del diritto di voto alle donne. Sembrava quindi che ci fossero delle nuove aperture nei loro confronti, ma l’avvento al potere di Mussolini e l’affermazione del fascismo non fecero altro ancora una volta di relegare le donne ai margini della società, non considerandole affatto alla pari degli uomini.
I cambiamenti a partire dal secondo dopoguerra
Con la fine della Seconda Guerra Mondiale la situazione cambiò e per loro finalmente iniziarono ad aprirsi degli spiragli di luce. Il 20 gennaio 1945 Togliatti aveva scritto una lettera a De Gasperi in cui chiedeva a gran voce di discutere sulla questione del voto femminile nell’imminente Consiglio dei Ministri. Il 1° febbraio 1945 con decreto legislativo luogotenenziale n. 23 finalmente le donne italiane che avessero compiuto almeno 21 anni avrebbero potuto votare in seguito alla decisione dell’estensione del diritto di voto alle donne.
Le donne potevano votare ma ancora non potevano avere l’eleggibilità che fu poi chiesta dall’UDI (Unione Donne in Italia) l’11 febbraio 1945. Trascorse ancora un anno e poco più: finalmente le italiane di almeno 25 anni con decreto n. 74 datato 10 marzo 1946 avrebbero potuto godere anche dell’eleggibilità. Anch’esse si potevano considerare delle cittadine italiane con pieni diritti.
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Il 10 marzo 1946 esse poterono partecipare alle prime elezioni amministrative del dopoguerra e alle elezioni del 2 giugno 1946 votarono per eleggere i deputati dell’Assemblea Costituente tra i cui candidati vi erano anche donne e per il referendum che sancì la Repubblica come nuova forma di governo italiana.
Obiettivo raggiunto…ma si potrebbe fare di più
L’obiettivo è stato raggiunto, ma ancora oggi vi sono dei divari tra uomini e donne che dovrebbero essere superati: salari femminili inferiori a quelli maschili, posizioni inferiori delle donne in ruoli politici ed economici di spicco, spesso sono costrette a rinunce per dedicarsi dell’educazione dei figli e delle faccende domestiche. Molti obiettivi sono stati dunque raggiunti per loro, ma si dovrebbe e potrebbe fare molto di più.




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