Le tradizioni, i colori del Giappone e i profumi della calda Sicilia vengono raccontate tra le pagine dell’appassionante romanzo La pittrice di Tokyo della scrittrice siciliana Sarah I. Belmonte. La storia ruota attorno alle due protagoniste principali del romanzo:  O’Tama Kiyohara, celebre pittrice giapponese vissuta tra l’Ottocento e il Novecento tra Tokyo e Palermo, e Jolanda, giovane fotoreporter siciliana molto libera e indipendente che in modo ribelle vive la sua esistenza appieno in libertà essendo alla ricerca del suo posto nel mondo. Tutto ruota attorno al rapporto che si instaura tra queste donne, entrambe forti e amanti della vita.

Amante del Giappone, Sarah I. Belmonte effettua una ricostruzione storica mirabile del Paese del Sol Levante frutto di studi appassionati sia sul piano storico sia sul piano geografico. E non solo tra le pagine de La pittrice di Tokyo respiriamo i profumi, l’aria calda e le vicende appassionate della Sicilia.

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L’intervista

Arstorica – Buongiorno Sarah, è un onore per noi farle quest’intervista. La scrittura è un’arte che dà spazio alla creatività e all’immaginazione. Quando ha capito che sarebbe stata pronta per scrivere un libro? Ce lo racconta?

Sarah I. Belmonte – Forse non l’ho ancora capito. È stato come un fluire verso qualcosa che era già dentro di me, come se avessi rotto un argine. Non mi sono seduta e ho pensato ‘da oggi scrivo per diventare scrittrice’. Ho scritto il primo romanzo nel 2005 dopo aver fatto un sogno lunghissimo, sentivo l’esigenza di dare forma a quella storia che era nella mia testa, come se l’avessi vissuta in prima persona. Infatti l’ho scritta e poi l’ho lasciata dentro una cartella del computer per anni. Scrivere mi ha dato sempre conforto e pace. Diari, poesie, lettere, piccoli stralci, pensieri, tutto faceva parte del mio mondo. Un bel giorno, ho deciso che non avrei sprecato più un minuto del mio tempo per gli altri e avrei creato qualcosa di mio e solo mio, ho lasciato il lavoro e ho iniziato un percorso che mi ha portata qui, dove sono adesso, tra i libri.

Con il suo romanzo “La pittrice di Tokyo” ci fa conoscere una bellissima e calda Sicilia e un Paese dalla storia millenaria e affascinante, il Giappone. Cosa l’ha spinta a scegliere come ambientazione della storia questi due paesi? Le andrebbe di approfondire questo aspetto?

La spinta è semplice, l’amore che ho per queste due terre. In Sicilia ci vivo, dunque ne sono affascinata da sempre, anche se solo da adulta ho iniziato davvero a vederne la ricchezza e la bellezza profonda. Il Giappone è il mio grande amore, una passione nata anch’essa da adulta tra i banchi dell’università, e non me lo sono più tolta dalla testa. Ho iniziato a scrivere storie ambientate in Giappone, poi un giorno ho scoperto che c’era una pittrice giapponese che aveva vissuto a Palermo cinquantuno anni fa, Tama Kiyohara, e mi ha incuriosito tantissimo. Quando ne ho letto la vita, me ne sono innamorata. Così il Giappone e la mia Sicilia erano stati uniti da una donna meravigliosa cui ho voluto dare voce attraverso questo romanzo che continua a darmi tante soddisfazioni.


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Jolanda è la protagonista del romanzo: è una giovane donna che sfreccia in bicicletta in mezzo ai campi, indossando i pantaloni del fratello, non ha figli e fa di tutto per ritagliarsi uno spazio nel mondo, affermando la propria autonomia e indipendenza. Ci parla meglio del suo personaggio? Che ne pensa di esso?

Se devo guardare Jolanda da lontano, penso che sia una ragazza forte, acerba in molti sentimenti della vita come sono acerbi tutti coloro che ne vivono una seguendo canoni dettati da altri, in questo caso le rigidità di una famiglia siciliana di inizio Novecento. Se la osservo da vicino ne posso tratteggiare il sorriso e il cuore, la voglia di vivere senza freni, di sbagliare, di farsi male. È un personaggio neutro al tempo e allo spazio, perché se ci riflettiamo bene queste possono essere caratteristiche di chiunque in qualsiasi parte del mondo, con l’amara considerazione che per farci spazio nella società e nella vita, noi donne, dobbiamo sempre lottare. È stata lei a venire da me con quella bicicletta mentre pensavo a un modo per raccontare O’Tama che non fosse la lineare espressione dei fatti.

Come ha integrato, nella trama del romanzo, alcuni eventi storici drammatici come per esempio le leggi razziali e la minaccia di guerra che stavano per colpire l’Europa durante il periodo in cui è ambientata la storia?

Il periodo storico è molto importante, molti eventi sono in sottofondo perché ho creduto di dover dare risalto alla storia di O’Tama, mi sarei persa troppo nei meandri se avessi dovuto dare risalto a tutto, ciò non significa che non abbia dovuto approfondire prima di scrivere, anzi. Ogni volta che si sceglie di scrivere un romanzo storico, dal sapore storico, il lavoro che c’è alla base è molto faticoso perché, a meno che la Storia non rappresenti solo una data fissata in qualche pagina, quando ci sono personaggi che devono muoversi dentro eventi importanti che hanno segnato il mondo, si deve comunque percepire e non bisogna sbagliare per non deludere il lettore. Inoltre, la mia scelta è anche dettata dalla volontà di scrivere un altro libro dedicato interamente a Jolanda e alle sue battaglie. Ma questa è un’altra storia. Chissà.

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Il romanzo tratta delle tematiche molto importanti, tra cui l’emancipazione femminile e il desiderio di libertà personale. Che messaggio ha voluto trasmettere ai lettori, affrontando temi così attuali?

Non ho pensato a un messaggio intrinseco quando ho immaginato la storia, pian piano mi sono resa conto che i miei personaggi erano in grado di parlare a molti, alle donne soprattutto, al desiderio di emanciparsi. Jolanda e O’Tama sono esempi di coraggio, ma sono anche esempi di come la paura viaggia insieme a noi lungo tutta la vita e di come spesso sia questa a governare le nostre scelte, non tanto la temerarietà. Ho voluto esplorare questa dimensione, quella per cui la paura di perdere persone e cose della nostra vita, un momento, un attimo, una scelta, ci consenta di prenderci per mano e decidere. È un filo sottile, è l’attimo prima del coraggio. La vittoria di questi due personaggi deve risuonare negli animi di chi li legge, essere da monito e spinta.

Un altro personaggio chiave del suo romanzo è la pittrice giapponese Kiyohara Tama. È legata a due terre: il Giappone, sua terra d’origine e la Sicilia, in cui si è trasferita per amore del marito Vincenzo Ragusa. Qual è l’aspetto caratteriale che ama di più di lei?

Tama mi ha insegnato molte cose, quando ho iniziato a studiarla e scoprirla ho incontrato il suo meraviglioso modo di guardare la vita. Osservando le sue opere, ho trovato una donna capace di riprodurre tratti talmente perfetti da avere il dono della pittura fotografica, ma anche sfumature dolcissime che lasciano trapelare fragilità e bellezza. Non ha mai smesso di essere se stessa, ma ha sempre trovato un modo per vivere appieno la sua vita, sapeva esattamente chi voleva essere, questo mi ha colpito.

La relazione tra Jolanda e O’Tama è uno degli elementi chiave della trama. Ci può spiegare meglio come ha approfondito questo rapporto tra le due protagoniste? È stato complicato descriverlo?

I rapporti sono complicati nell’ordine in cui si parla di sentimenti ed emozioni, l’aspetto più difficile è stato crearne uno veritiero tra un personaggio inventato e uno reale senza perderlo mai di vista, senza farlo apparire meccanico, ma molto naturale. Ci sono tanti aspetti che avrei potuto cambiare per agevolarmi, uno dei tanti è la nazionalità, o l’età, ma non ho voluto. Uno scrittore ha il dovere di cimentarsi nel difficile altrimenti la storia di per sé perde mordente. Il loro rapporto è creato per essere l’uno lo specchio dell’altro. Jolanda e Tama sembrano diverse, ma non è così, in realtà sono molto simili.

Il libro analizza la cultura e le tradizioni giapponesi attraverso gli occhi di Jolanda. Ha svolto molte ricerche per descrivere nel modo più realistico possibile gli usi e i costumi del Giappone?

Il Giappone è il mio pane quotidiano, non c’è giorno in cui non pensi a qualcosa, a un fatto, un paesaggio, una frase che sia giapponese, però un conto è amare un luogo un altro è doverne scrivere, per questo motivo ho fatto delle ricerche storiche lunghissime e anche geografiche per documentarmi sulle vie, i luoghi più importanti, gli attracchi, gli spostamenti. È stato intenso, ma molto arricchente, so adesso più cose del piano regolatore della Tokyo ricostruita dopo il terremoto del 1923 che della mia città. Molti lettori mi hanno chiesto informazioni sul mio viaggio in Giappone, ma ahimè la verità è che non ci sono mai stata se non con la mia fantasia. Però il fatto che sia arrivato così profondamente vissuto, mi riempie di gioia.

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In che modo la fotografia ha contributo alla narrazione e alla caratterizzazione dei personaggi, considerando che Jolanda svolge la professione di fotoreporter?

La fotografia è l’elaborato artistico opposto a quello di O’Tama, non intendo contrapposto, ma solo che ho cercato un’arte simile alla pittura che potesse essere quella preferita da Jolanda. Ha un ruolo importante perché è anche il modo attraverso cui Jolanda guarda il mondo e come dunque noi riusciamo a percepirlo. È un’idea di tempo, il simbolo dell’istantanea della vita in contrappeso a quello della pittura che richiede maggiore osservazione e che è modificato dal tempo stesso. Sono concetti legati, per me, alle visioni giapponesi dell’effimero, del mono no aware, un’idea di bellezza e caducità che è ormai centrale nel mio modo di vedere la vita.

Ha in mente nuove trame sulla base del quale stendere un nuovo romanzo? Se si, ce ne parla?

Sì, certo, nella mia testa viaggiano fin troppe idee e sempre storie nuove. Per adesso sto scrivendo una storia interamente ambientata in Sicilia che ha a che fare con la mia famiglia, ma non posso dire altro. Chissà.

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