La strangera è un romanzo scritto da Marta Aidala e pubblicato dalla casa editrice Guanda. Viene raccontata la storia di Beatrice, giovane torinese che lascia Torino e la vita di città per ritrovare sé stessa. La sua scelta sarà quella di partire per la montagna, di vivere presso il rifugio del Barba, un uomo misterioso e molto particolare. In montagna Beatrice si sente a casa fino a quando, in seguito ad un incidente, rimette tutto in discussione per capire meglio quale sia il suo posto nel mondo.

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L’intervista

Arstorica – Buongiorno Marta, piacere di conoscerla. La strangera è il suo romanzo d’esordio. Com’è nata l’idea di scrivere un libro sulla vita in montagna?

Marta Aidala – La Strangera non è un romanzo nato in maniera organica. Inizialmente c’era in me un rifiuto, una repulsione, a raccontare la montagna e la vita in rifugio. Come Beatrice, anche io ho vissuto in rifugio, ma è solo una delle vite possibili in montagna, diversa dalla dimensione del borgo o dei paesi che in inverno contano due abitanti e che d’estate si riempiono di villeggianti. C’è una componente autobiografica, ma Beatrice è Beatrice, Marta è Marta. Guardano, pensano, vivono ognuna a suo modo.

La protagonista del romanzo è la giovane Beatrice che vive a Torino ma la cui vita di città le sta stretta. La sua è una scelta di ribellione a una vita che non sente sua. Perché la protagonista per ritrovare la propria libertà va a vivere in montagna?

Per Beatrice andare a vivere in montagna è una scelta unicamente sua, che ha difeso portato avanti nonostante il dissenso manifestato da chi la circonda. La libertà inizia dall’aver deciso per se stessa. Non attribuisce alla montagna nessun significato salvifico – la montagna non salva, e nemmeno uccide – ma è il luogo in cui crede di potersi sentire a casa. Sente il bisogno di smettere di salire e scendere dalle vette per trovare una terra alta in cui restare, potersi fermare e acclimatarsi.


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“«Una strangera.» Fu quell’uomo a chiamarmi così per la prima volta, e avrei voluto rispondere ciò che avrei detto a tutti gli altri in seguito, che lì in montagna io ero straniera esattamente quanto loro.” Questa è una frase che trovo evocativa nel suo romanzo, ce la può spiegare essendo pregna di significato?

Beatrice viene chiamata “strangera” perché viene da fuori, dalla città. È un elemento estraneo, che non ha mai vissuto in montagna a differenza di chi è attorno a lei e che crede non sia in grado di affrontare un certo tipo di vita. Al tempo stesso però, mantenendo lo sguardo di una cittadina, essere “strangera” è un punto di vista privilegiato per Beatrice: le permette di porsi domande, vivere ogni avvenimento con curiosità e voglia di imparare, osservare (all’inizio in maniera più edulcorata e intrisa di stereotipi), analizzare le dinamiche che la circondano.

Ma nessuno dei personaggi del romanzo è bosco, fiume, ghiacciaio, roccia o qualsiasi animale che abita la montagna. È un ambiente ostile all’essere umano e oserei affermare che forse ci sono altitudini che non dovremmo nemmeno raggiungere. In questo senso siamo tutti stranieri e straniere.

La montagna, nel corso della storia, che cosa rappresenta per Beatrice?

La montagna per Beatrice è un luogo che incarna la sua scelta e la sua determinazione. Un luogo di incertezza, crede possa diventare una casa, ma non ne ha la certezza. Un luogo di scoperta, in cui il tempo è scandito da un altro passo e che in inverno la costringe a rallentare. Una vita diversa.

Una figura molto importante nell’evoluzione della storia è quella del Barba, un uomo burbero e molto particolare. È stato difficile definire il personaggio per lei?

Il Barba ha preso forma e si è plasmato da solo. Mi sembrerebbe ingiusto arrogarmi il merito di aver definito il Barba; a un certo punto da pensiero si è trasformato in carne, (come tutti gli altri personaggi), e io l’ho raccontato. Forse è stato più difficile rendere giustizia alla sua complessità.

E poi c’è Elbio, il giovane malgaro con cui Beatrice instaurerà un rapporto intenso caratterizzato da ritrosie e slanci. Tra i due giovani vi è una grande intimità al punto tale che si riconoscono l’uno nell’altra. Ci parla della loro relazione nel corso della storia?

Elbio è la prima persona a non guardare Beatrice come una straniera, ma ne è incuriosito e attratto. Lei all’inizio è molto diffidente, ma ammira Elbio: a differenza sua, lui (e anche il Barba) sa chi è, cosa vuole e qual è il suo posto. Beatrice spesso si domanda come possa esserne così sicuro se non ha mai sperimentato altro. Ma Elbio è montagna, è la vita del malgaro, è l’alpeggio. Beatrice per lui esiste e assume valore solo perché è lì, nei suoi luoghi. 

Al rifugio con il Barbara Beatrice si sente a casa ma all’improvviso l’inverno senza neve le mostrerà una montagna inaspettata… la protagonista decide a questo punto di lasciare il rifugio per rimettere tutto in discussione. Perché fa questa scelta?

Seppur l’incidente ridimensioni la visione che ha Beatrice della vita in rifugio e della montagna, non è questo il motivo che la spinge ad andarsene, ma la delusione e la rabbia che prova nei confronti del Barba dopo aver scoperto il suo “inganno”. Il futuro realizzerà anche che, per imparare a camminare da sola, era necessario lasciare il rifugio, o si sarebbe sempre aggrappata al Barba. 

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Beatrice è giovane, quindi deve in qualche modo capire che posto avere nel mondo. Si mostra forte ma in realtà è un personaggio complesso dalle mille sfaccettature, ci vuole parlare di questo aspetto?

Quale essere umano non ha mille sfaccettature? 

Dopo “La strangera” ha già in mente nuove storie sulla base delle quali scrivere un nuovo romanzo?

Sì, ma per scrivere ho bisogno di rimanere ferma.  Questo è ed è stato un periodo positivo, ma anche molto caotico. Tra gennaio e febbraio finirò di portare (o farmi portare?) a spasso per l’Italia da “La strangera”; poi arriverà il mio momento per leggere, e tornare anche a scrivere.

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