Mio padre è nato per i piedi è un romanzo scritto dalla brava scrittrice Elena Bosini e racconta le vicende della piccola Giulia, della sua famiglia e della comunità del paese in cui è cresciuta: Concordia sulla Secchia in provincia di Modena. Giulia è la bambina dei Portici: quella bambina che conosce tutti dentro la comunità di Concordia sulla Secchia e che ci descrive tramite le sue parole tutti gli aneddoti del paese, tutti i suoi abitanti presentandoceli con un atteggiamento ironico e leggero.

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L’intervista

Arstorica – Buongiorno Elena, piacere di conoscerla! Nel suo romanzo “Mio padre è nato per i piedi” viene raccontata attraverso gli occhi vispi della piccola Giulia la storia della sua famiglia. Come ha fatto a raccontare la storia con note leggere? Ce ne parla?

Elena Bosi – Buongiorno, piacere mio! Ho voluto tenere un tono leggero fin dall’inizio, perché questo era il modo di raccontare delle mie nonne, che erano delle bravissime narratrici. Erano capaci di raccontare episodi drammatici con un ironia e leggerezza. Nel capitolo “Un’assassina mancata”, ad esempio, la nonna Marta parla della sua vita, che è stata molto sfortunata fin dalla nascita, con sua mamma che è morta di parto, eppure ne parla in modo quasi comico. E allargando un po’ la visuale mi sembra che questa capacità di ridere, o sorridere, anche delle situazioni più tragiche, sia un tratto tipicamente emiliano. Quindi mi sembrava giusto farlo emergere, dato che il romanzo è ambientato in Emilia.

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Oltre che della sua famiglia, la protagonista parla della gente del suo piccolo paesino in provincia di Modena, Concordia sulla Secchia. Vengono descritte le vicende paesane dense di tanti ricordi e esperienze vissute. Come ha fatto a ricostruire tutti questi aspetti?

Molti degli episodi li ho sentiti raccontare mille volte in casa, di altri ho un ricordo diretto, per quanto sfocato, anche se ero molto piccola. Per gli aneddoti più antichi ho chiesto aiuto a una cugina di mio padre, e grazie a lei sono riuscita a scoprire degli aspetti della bisnonna Rachele che mi hanno molto stupito. Ad esempio che si fosse comprata un pellicciotto da indossare nella bara, lei che era sempre stata molto frugale: doveva essersi proprio stancata di soffrire il freddo. Poi è successa una cosa, quando ho iniziato a pubblicare qualche frammento su Facebook, nelle prime fasi della stesura, ed è che le persone del paese hanno iniziato a commentare, e a volte anche a correggere o smentire qualche dettaglio. E mi hanno raccontato, anche loro, alcune storie della mia famiglia che nella mia famiglia non si ricordava più nessuno. Quindi si può dire che questo sia un romanzo corale non solo nel risultato, ma anche nella sua creazione.

Tanti sono i personaggi descritti nel romanzo. Qual è quello a cui è più affezionata?

Per me è davvero difficile sceglierne uno solo, anche perché molti fanno parte della mia famiglia, allora per non fare torti a nessuno direi il dottor Francesco. E’ un personaggio a cui sono molto affezionata non solo perché lo ricordo personalmente, ma anche perché mi sono divertita molto a tratteggiarlo. Di lui ho scritto, ad esempio: “Il Dottor Marcello era un dentista, ma sapeva curare tutti i mali. Solo, non era molto diplomatico. Un’amica di mia mamma non è mai andata oltre la prima visita, perché appena ha fatto Aaaaaa per farsi controllare i denti, il Dottor Marcello ha sentenziato: «Signora, Lei si lava più il culo che la bocca». L’amica di mia mamma, son passati cinquant’anni, è ancora offesa.”

I nonni di Giulia vengono ben delineati nel romanzo e sono per lei dei punti di riferimento. Ci vuole parlare meglio del rapporto tra la protagonista e questi ultimi?

Giulia trascorre molto tempo con i nonni, sia materni che paterni, perché i suoi genitori sono sempre impegnati a lavorare, quindi si crea un rapporto molto stretto tra loro. In più ha la fortuna di avere dei nonni straordinari, con la pazienza di starla ad ascoltare, di rispondere alle sue domande, per quanto siano a volte sciocche o inopportune. Le due nonne poi sono una il contrario dell’altra: Marta riflessiva e malinconica, Dagma che invece affronta tutto con spirito pratico, anche i lutti e le disgrazie. Credo che crescendo Giulia abbia fatto suoi entrambi questi modi di affrontare il mondo, e che questa sia una ricchezza per lei.

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Nel libro ci sono anche numerosi aneddoti legati a elementi quasi magici e della saggezza popolare. Ce li vuole approfondire meglio?

Questo era un aspetto che mi affascinava molto, e che non ho voluto approfondire di più solo per non rendere il libro sbilanciato, ma ci sarebbero state altre superstizioni e altri sortilegi da raccontare. Il fatto è che nella generazione dei miei nonni l’istruzione era accessibile a pochi: si andava a scuola solo per qualche anno delle elementari. Quindi più che alla cultura scolastica si faceva affidamento alla cultura popolare, tramandata per via orale per chissà quante generazioni. Dal punto di vista letterario, mi colpisce la componente simbolica e a volte anche poetica di certe usanze. Ad esempio, c’è un episodio in cui il fratello di Giulia viene curato dai vermi intestinali da una guaritrice che fonde del piombo in un pentolino d’acqua, dopo aver recitato delle preghiere e delle formule magiche. I vermi intestinali muoiono all’istante: rimangono fissi come i frammenti di piombo fusi nel pentolino e versati nel bicchiere. Mi sembra una scena di grande effetto. Ho poi saputo che questo stesso incantesimo veniva usato anche nel sud della Sardegna, e mi chiedo quanto debba essere antico, per aver viaggiato dal sud della Sardegna fino a Concordia sulla Secchia in provincia di Modena, o viceversa.

La solitudine dei personaggi si cela dietro la descrizione fatta con ironia da Giulia. Come ognuno di loro cerca di combattere la solitudine nella vita quotidiana?

Questo è un aspetto che per molti lettori rimane in secondo piano, perché molti episodi sono divertenti, soprattutto all’inizio del libro, ma per me è fondamentale. Ci sono alcuni personaggi che sembrano dei matti: penso a Jack, un confinato molto stravagante che incute anche un certo timore ai i bambini di Concordia, oppure penso alla vicina di casa, la Leontina, che ogni tanto arriva in cortile con un coltello per tagliare la pancia al padre di Giulia, perché è troppo grasso. E ce ne sono altri, di personaggi così: emarginati e strambi, per me molto affascinanti già da quand’ero bambina perché si discostavano da tutto quello che era giusto, normale, lecito. Ma chissà che difficoltà o drammi avevano alle spalle. Per questo ho cercato di raccontarli senza ridurli a delle macchiette. Poi c’è la nonna Marta che nei momenti di solitudine più acuta si confida con la luna, e questo mi sembra un gesto molto poetico.

Si descrive anche il rapporto tra Giulia e il suo fratello maggiore. Ci parla del loro legame più approfonditamente?

Nel libro scrivo “nella mia famiglia vorremmo essere tutti figli unici”, e forse l’unica eccezione era Giulia, che avendo un fratello più grande di lei di sei anni in realtà non lo vedeva come un usurpatore, o un rivale, ma come un modello, e spesso ne sentiva la mancanza quando lui era in giro con gli amici o in parrocchia. Non ci sono molti episodi che li vedono insieme, ma si intuisce una grande complicità tra loro.

Anche il rapporto genitori-figli viene approfondito bene. Com’è riuscita a trattarlo tra le pagine del sul libro?

Il rapporto tra genitori e figli, mi sembra, è diverso per ogni figlio: mi viene in mente lo zio Alberto, che ride di gusto mentre sua madre si dispera perché lui se ne va in giro in autostop per l’Europa senza darle notizie per giorni e giorni di fila. Un legame fortissimo il loro, ma anche contraddittorio. L’altro figlio di Marta, Cesare, aveva un rapporto completamente diverso con lei, quasi di venerazione, ma con qualche scontro anche violento. Il rapporto tra Giulia e i suoi genitori invece è dominato dall’assenza, perché loro hanno davvero poco tempo da dedicarle, ma questa assenza viene compensata dall’affetto dei nonni e non solo, anche dei negozianti vicini, dei clienti del negozio, di tutte le persone, insomma, che frequentano il microcosmo di Giulia, cioè i portici del paese. Tant’è che quando le chiedono per l’ennesima volta “Ma tu di chi sei figlia?”, Giulia risponde: “Sono la figlia dei portici”.

Con quali aggettivi definirebbe la protagonista Giulia?

Le persone che si ricordano di Giulia che sfreccia sul suo triciclo sotto i portici la descrivono come sorridente, curiosa, e anche un po’ impertinente.

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