Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera è un libro di Guendalina Middei che conduce il lettore alla riscoperta dei classici della letteratura italiana e straniera. La scrittrice, tra le pagine del suo romanzo, introduce i suoi lettori alla riscoperta di autori da amare, da esplorare e da apprezzare. Appassionate pagine sono dedicate agli scrittori russi dell’Ottocento, come Fëdor Dostoevskij e Lev Tolstoj, i cui capolavori Delitto e Castigo, Anna Karenina e Guerra pace raccontano uno spaccato sociale ed eventi storici molto densi. In un altro capitolo si dedica a grandi romanzi come I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, in cui ci descrive in maniera interessante la società secentesca e i tratti caratteriali dei personaggi della storia; in altri ancora analizza la figura del poeta Giacomo Leopardi, presentandocela come eroica, rivoluzionaria, appassionata e non relegata alla visione poetica del suo pessimismo letterario.

Altro capitolo molto interessante è quello dedicato a Jane Austen, scrittrice molto moderna per la sua epoca e che, con grande ironia, ci descrive uno spaccato della società inglese di fine Settecento e Ottocento. Guendalina Middei attraverso Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera invita i suoi lettori ad amare i classici senza riserve immergendosi nella loro lettura.

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L’intervista

Arstorica – Buongiorno Guendalina, piacere di conoscerla, com’è nata l’idea di scrivere un libro come Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera in cui con passione racconta ai suoi lettori i grandi classici della letteratura italiana e straniera?

Guendalina Middei – Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera è nato essenzialmente da un innamoramento. Quando avevo quindici anni lessi per la prima volta Delitto e castigo e rimasi senza fiato. Ricordo lo stupore che mi saliva da dentro: quell’autore dal nome tanto difficile da pronunciare era riuscito a esprimere tutto ciò che io non riuscivo a formulare in modo sensato, era come se mi conoscesse più di quanto mi conoscessi. Lo stesso provai leggendo Tolstoj, Kafka, Orwell, Tomasi di Lampedusa. M’innamorai della letteratura. Leggere per me significa amare. Da questo innamoramento che dura da quando avevo sedici anni è nato Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera. Vorrei far sentire ai miei lettori quanto leggere i classici possa essere una delle esperienze più eccitanti che possa capitarti nella vita e farli innamorare dei classici così come me ne sono innamorata io. Ma al tempo stesso vorrei anche aiutarli a orientarsi all’interno dei testi, condividendo con loro quelle bussole, quelle chiavi di lettura che mi hanno aiutata a comprendere meglio ora un Kafka ora un Tomasi di Lampedusa ora un Dostoevskij.

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Leggere un classico è come entrare in profonda intimità con un estraneo”. Questa è la frase che riassume cosa sia per lei leggere un classico. Ci spiega meglio questa sua affermazione?

Per me leggere significa entrare dentro il cuore, dentro l’anima di un certo personaggio. Il motivo per cui ho tanto amato Dostoevskij è perché mentre leggi Delitto e castigo hai proprio l’impressione di stare dentro la mente di Raskolnikov. Dostoevskij ti fa sentire ogni suo pensiero, ti fa provare ogni sfumatura delle emozioni che gli attraversano l’anima. Te lo rende vicino, tanto vicino che al termine della lettura provi un senso di vuoto, come se avessi dovuto salutare un amico che ti era diventato improvvisamente caro.

Io iniziai a leggere i classici perché avevo sete di un’intimità, di una vicinanza che solo la letteratura è in grado di offrire. La letteratura quando ti dice: questo sentimento che provi l’hanno provato anche Zeno, Anna Karenina e Raskolnikov in realtà è come se ti dicesse non sei più solo.

Dalle pagine del suo libro l’amore per la letteratura è ricorrente. Che cos’è per lei la letteratura?

I classici per me sono quei libri che non ti stanchi mai di rileggere. Io ad esempio ho letto Anna Karenina sette volte e non smette mai di sorprendermi perché ad ogni rilettura mi lascia qualcosa di nuovo. Ogni volta ci scopro una parola, un’idea, un’immagine talmente potente da rivoluzionare il mio mondo. La cosa bella di un classico è che non somiglia a nessun altro libro. La voce dei suoi personaggi, il modo in cui è scritto ci spingono a pensare: “Io questa cosa non l’ho mai letta prima”. Un grande classico poi lo riconosci anche da quei piccoli dettagli che hanno poco a che fare con la trama, ma che rendono tanto complesso e vivido l’universo narrato. Mentre leggiamo Anna Karenina, ci sembra di essere lì, assieme alle donne che preparano le marmellate e chiacchierano; Tolstoj ci fa sentire l’odore della segale che schiarisce al sole, mentre Lèvin falcia il grano assieme ai contadini, e i rumori della palude mentre va a caccia. Un grande scrittore riesce a rendere interessanti anche le vite più comuni, e non grazie a improbabili colpi di scena, ma perché rivela la complessità che si nasconde dietro ogni vita. Ma per me alla fine i classici sono stati innanzitutto degli amici, compagni di viaggio che mi hanno aiutata a crescere, a capire me stessa, ad orientarmi nel mondo. 

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Ha dedicato un capitolo anche ai “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, descrivendo la storia in maniera interessante. Perché secondo lei oggi i ragazzi a scuola non amano questo romanzo storico? 

Manzoni non è lo scrittore più amato dai ragazzi. A scuola anche per via di come sono impostati i programmi spesso viene spiegato in modo arido. Viene spiegato appunto, non raccontato. Ma la vera domanda è: I promessi sposi ha ancora qualcosa da dirci? Ecco, ne I promessi sposi si parla di amore, di guerra, di peste, di rivolte popolari, di ingiustizie perpetrate dai potenti contro i più deboli e dei conflitti interiori che attanagliano il cuore dell’uomo. C’è la politica, la gelosia, il tormento della coscienza. Ci sono i pavidi, i coraggiosi, i prepotenti, gli opportunisti, gli ignavi. C’è insomma un ritratto a tutto tondo di quella che è anche la società oggi. A un certo punto poi Manzoni ci regala una scena di un’intensità drammatica, di una bellezza senza eguali. Ci mostra questa donna, la madre di Cecilia, che cinge tra le braccia una bambina con un vestitino tutto bianco, e con una lenta, strana grazia la depone sul carro del monatto e fa promettere all’uomo di seppellirla così com’è, «senza levarle un filo d’intorno». Ecco, in quel momento la distanza temporale tra noi e i personaggi manzoniani si annulla. Siamo lì a tremare assieme a Renzo davanti a questa scena di una mamma che dà l’addio alla figlioletta appena morta.

Un intero capitolo è dedicato a Giacomo Leopardi e alle sue bellissime poesie. Ci delinea la figura storica di Leopardi, uomo geniale che attraverso le sue liriche affronta tematiche molto profonde. A scuola è anche uno dei poeti più studiati dai ragazzi. Non crede che nella sua produzione letteraria vi siano molti elementi rivoluzionari? 

Leopardi ha sempre occupato un posto speciale nel mio cuore. Ricordo che quando ero a liceo non avevo mai prestato troppo attenzione a questo «strano poeta» che mi avevano descritto gobbo, brutto, preda di un deprimente pessimismo. Poi il mio professore lesse in classe Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia, e ci fu un verso che mi restò scolpito nella mente: «forse, s’avessi’io l’ale, se volare su le nubi, e noverar le stelle ad una ad una (…) più felice sarei». Queste parole risuonarono potenti nel mio cuore di adolescente. Anch’io come Leopardi avrei voluto avere ali per volare sopra le nubi e fuggire, come quel giovane che voleva scappare dal suo borgo natio per conoscere il mondo e fare esperienza del mondo, perché vivere significa fare esperienza. Oggi invece si tende a banalizzare la poetica di Leopardi circoscrivendolo all’interno del pessimismo. Ma fare di Leopardi un poeta della tristezza significa non aver capito nulla della sua poesia. C’è uno slancio eroico nella poetica di Leopardi, c’è sete di bellezza, una sete di infinito che non ha nulla a che vedere con la rassegnazione. Certo, leggendo Il passero solitario o La ginestra percepisci una malinconia soffusa ma anche una volontà eroica, la volontà di non rassegnarsi davanti a niente e a nessuno. Leopardi ci parla della solitudine, dell’amore negato, delle speranze tradite, ma al tempo stesso non si è lasciato spezzare dalla sofferenza che la vita gli ha inflitto: la malattia, la solitudine, l’amore non corrisposto, la quasi cecità. Ha continuato semmai a creare bellezza attraverso le sue poesie. Leopardi è il poeta che ha lottato tutta la vita per tenere assieme verità e bellezza. Ed è il sentimento ad abitare le poesie di Leopardi, a farle risplendere di una luce tanto viva. Ed ecco anche perché in un’epoca come la nostra abbiamo bisogno di tornare a leggere Leopardi, per tornare a riappropriarci della forza del sentimento, della capacità di sentire tanto intensamente.

Molto bello è lo spazio che in “Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera” ha riservato ad un’altra “eroina” della letteratura inglese, Jane Austen. Quando lei legge un suo libro che sensazioni prova?

A me Jane Austen ha sempre fatto ridere. Jane Austen è una delle scrittrici più spassose che conosca, e la leggo quando voglio ritrovare il buon umore. Quando mi chiedono «come leggere i classici?» o «perché leggere i classici», io rispondo sempre che la risposta a questa domanda non è mai un «come» ma un «quando». Quando dovete scegliere un libro, cercate di assecondare le vostre passioni, le vostre frenesie, i vostri umori. Io, per esempio, quando sono di umore cupo e ho fame di terribili passioni, leggo Dostoevskij. Quando leggere i romanzi di Jane Austen invece? Se cercate una bella sferzata di ironia, se volete immergervi per qualche ora in un mondo fatto di brughiere, schermaglie amorose, parchi, manieri, tè e crinoline.

Negli ultimi anni, i giovani italiani leggono sempre meno, e il nostro Paese è tra quelli europei con il minor tasso di lettura. Secondo lei che cosa si dovrebbe fare per incentivare i ragazzi a leggere di più?

I ragazzi possono innamorarsi perdutamente di un autore o odiarlo appassionatamente. Costringerli ad esempio a imparare a memoria dove Leopardi nacque, visse, mori, non lo renderà interessante ai loro occhi. Per amare i classici, dico sempre ai miei alunni, dovete viverli. E per viverli, dovete parlarci. Leggeteli quando la vostra anima ha bisogno di una parola, di una frase, di un concerto di dolci suoni che solo quel libro potrà appagare. Non fate dei libri dei cimeli polverosi da rinchiudere in una biblioteca e da ostentare per poter dire agli altri e a voi stessi: sì, l’ho letto. Interrogateli, fate loro continue domande, domande stupide, domande intelligenti, domande sciocche, ma parlateci. Solo così i tanti Raskolnikov ed Edmond Dantes, Thomas Mann, Don Abbondio ed Elizabeth Bennett usciranno dalla carta in cui sono imprigionati e diventeranno «vivi» per voi.

Oggi spesso viene detto che i giovani non vogliono leggere, ma non è assolutamente vero. Confrontandomi tutti i giorni con loro ho potuto toccare con mano quanta voglia di sapere, di confrontarsi, di parlare abbiano. I ragazzi cercano finestre. E ogni libro è una finestra. Perché ci parla di qualcosa che va oltre la vita quotidiana. I giovani e non solo i giovani cercano la meraviglia, lo stupore, qualcosa che porti scompiglio nella loro anima, scompiglio nel senso etimologico di mettere sottosopra l’anima, di farla emozionare. Ma hanno bisogno di una mano gentile che li accompagni al di là della soglia.

Per il futuro che progetti ha?

A gennaio uscirà, sempre per la Feltrinelli, un altro libro: Sopravvivere il lunedì mattina con Lolita. Mentre con Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera ho parlato di come avvicinarsi ai classici e innamorarsi dei classici, con questo nuovo libro vorrei condividere con i miei lettori qualcosa di più intimo e speciale. Guidarli alla scoperta di quei classici che non soltanto puoi amare, ma che possono aiutarti a ritrovare la rotta, che ti salvano da quella strana malattia dell’anima che si chiama apatia e che alle volte prende il nome d’indifferenza, dalla monotonia di un tempo che non scorre ma trascorre. Insomma questo libro sarà dedicato a quei classici che credo possano essere per noi salvagenti, ancore, porti sicuri e ci aiutano a ridere di più e a sentire più intensamente.

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