Emily Hobhouse
Pacifista e attivista, Emily Hobhouse è nota soprattutto per la sua campagna di informazione durante la seconda guerra anglo-boera, che ha denunciato le misere condizioni di vita all’interno dei campi di concentramento usati dagli inglesi per imprigionare i civili, ufficialmente per “proteggerli” dalla guerra, in realtà per isolare i combattenti boeri.
Una famiglia di pacifisti
Emily Hobhouse nacque il 9 aprile 1860 in Cornovaglia da Caroline Trelawny e Reginald Hobhouse, pastore anglicano. Nella sua famiglia non mancavano pensatori liberali e pacifisti: suo fratello, Leonard, sarebbe diventato un noto pacifista, sociologo e teorico del liberalismo sociale; suo cugino, Stephen Henry, era a sua volta un pacifista, liberale, e promotore di importanti riforme nel campo penitenziario. Di certo i pensieri e le convinzioni dei suoi famigliari influenzarono la sua filosofia e il suo modo di vedere la vita, accendendo in lei un forte interesse per le condizioni dei più poveri e degli strati più umili della società.
Tuttavia, Emily non ebbe la possibilità di mettere in pratica i suoi ideali, perché alla morte della madre nel 1880, fu lei, per più di un decennio, a prendersi cura del padre, che godeva di una salute fragile. Fu solo, quindi, alla morte di quest’ultimo, nel 1895, che Emily partì per seguire la sua vocazione: recatasi in Minnesota, Stati Uniti, come parte di un’iniziativa di carità della moglie dell’Arcivescovo di Canterbury, iniziò a prestare opera assistenziale presso i minatori immigrati dalla Cornovaglia. In Minnesota, inoltre, Emily conobbe John Carr Jackson, uomo di cui si innamorò e con cui tentò l’impresa di avviare un ranch in Messico: la loro iniziativa però fallì, così come il fidanzamento che avevano stretto. Nel 1898, Emily rientrò in Inghilterra, dopo aver perso buona parte del suo patrimonio nella fallita impresa messicana.
La grande battaglia: la seconda guerra anglo-boera
Il suo impegno e lavoro in ambito sociale non erano però passati inosservati. Quando la seconda guerra-boera scoppiò nel 1899, il parlamentare liberale Leonard Courtney invitò Emily a unirsi alla sezione femminile del Comitato di conciliazione sudafricano, un’organizzazione pacifista che si opponeva alla guerra boera. A convincere Emily ad accettare il ruolo di segretaria che le veniva offerto fu soprattutto la consapevolezza del tremendo impatto di quella guerra sui civili: i soldati britannici non facevano distinzione tra combattenti e donne e bambini, deprivando questi ultimi della loro libertà e rinchiudendoli nei campi di concentramento, dove soffrivano la fame e condizioni di vita umilianti. Allo scoccare del nuovo secolo, Emily istituì un fondo di sostegno per le donne e i bambini colpiti dalla guerra e si recò di persona a Capo di Buona Speranza per supervisionarne la distribuzione.
La situazione, però, era molto più grave di quanto pensasse. Emily era convinta che ci fosse un solo campo di concentramento, quello di Port Elizabeth, ma in realtà ne esistevano ben 45. Il suo fondo non era certo sufficiente per far fronte a quella situazione, e per di più Emily dovette muoversi con cautela, nel rispetto dei limiti che le venivano imposti dalle autorità locali. La lettera di raccomandazione che suo zio Arthur, figlio di Henry Hobhouse, sottosegretario permanente al Ministero degli Interni, le aveva scritto per presentarla all’Alto commissario britannico Alfred Milner, non bastò a scavalcare l’autorità di Lord Kitchener, il vero comandante in capo delle operazioni militari.
Seppur con fatica, Emily riuscì infine a persuadere le autorità a farla accedere ai campi di concentramento, e il suo rapporto non tralasciò nulla: condizioni di vita inumane, persone ammassate in tende prive di qualsiasi standard igienico, malattie che causavano un tasso di mortalità altissimo, soprattutto tra i bambini. Il peggio Emily lo trovò nel campo di concentramento di Bloemfontein: donne e bambini ridotti a pelle ed ossa, malattie ovunque, razioni di cibo ridotte al minimo. Emily dovette combattere a lungo con le autorità per ottenere un po’ di sapone, paglia e dei bollitori in più per bollire l’acqua e renderla potabile.
Lotta contro le ingiustizie
Nel rapporto che inviò al governo britannico nel 1901, Emily riassunse le sue considerazioni condannando i campi come un “sistema crudele” che altro non faceva se non schiacciare i più deboli, le donne e i bambini. Il suo rapporto ebbe il merito di scuotere le coscienze in patria, anche se, appena rientrata in Inghilterra, la donna incontrò un solido muro di ostilità e critiche da parte del governo. Solo per merito della sua perseveranza, e del contributo del liberale Sir Henry Campbell-Bennerman, che la sostenne nella sua battaglia, il governo istituì una commissione che, infine, inviò una squadra di ispettori guidati dall’attivista Millicent Fawcett. A seguito dell’ispezione, che confermò le condizioni denunciate nel suo rapporto, si ordinò di cessare di imprigionare nuove famiglie nei campi, e in alcuni casi la situazione igienica migliorò; a livello internazionale, però, la reputazione dell’Impero britannico era rovinata, e in patria non mancarono proteste e denunce per le terribili condizioni di vita nei campi di concentramento.
Inoltre, quando Emily tentò di tornare a Capo di Buona Speranza alla fine del 1901, le venne impedito di attraccare, venne imprigionata per cinque giorni, e poi rimpatriata, senza che le venissero fornite spiegazioni.
Emily, nonostante le ingiustizie subite e di cui era stata testimone, non si perse d’animo, e scrisse un resoconto della sua esperienza, The Brunt of the War and Where it Fell. Appena la guerra finì, tornò in Sudafrica, dove si dedicò alla fondazione di una scuola per donne, dove venivano insegnati mestieri come il cucito e la tessitura che potessero garantire loro un minimo di sussistenza economica. Per Emily, però, stava diventando sempre più difficile portare avanti le sue battaglie: la sua salute si deteriorava sempre di più, tanto che le impedì di presenziare all’inaugurazione del Monumento nazionale per le donne a Bloemfontein; il suo discorso venne comunque letto e ricevette un grande plauso dal pubblico. Ostacolata dalla propria salute indebolita, Emily Hobhouse trascorse in patria i suoi ultimi anni, senza comunque risparmiare una strenua opposizione alla Prima Guerra Mondiale, e in seguito un continuo aiuto umanitario per le donne e i bambini alla fine del conflitto.
Emily Hobhouse si spense a Londra nel 1926. Bloemfontein la considera un’eroina, tanto da dedicare una cittadina a suo nome, e il Sudafrica le ha concesso la cittadinanza onoraria per il suo contributo umanitario.
A cura di Chiara.
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