Alfonsina Strada
Grande sportiva e pioniera della parità di genere nello sport, Alfonsina Morini coniugata Strada è stata la prima e unica donna a competere nel Giro d’Italia, facendo la storia di questo sport.
La passione per le due ruote
Alfonsina Rosa Maria Morini nacque il 16 marzo 1891 a Castelfranco Emilia, la seconda di dieci figli della numerosa famiglia di Carlo Morini e Virginia Marchesini, coniugi di origini umili che non sapevano né leggere né scrivere e lavoravano come braccianti nelle campagne dell’Emilia.
La vita nelle campagne era dura, povera e insalubre, e non era raro che molti lavoratori morissero per malattie come il tifo e la tubercolosi, lasciando orfani i propri figli. Quando in famiglia vi erano solo Alfonsina e la sorella maggiore Emma, i coniugi Morini accolsero nella propria casa una serie di orfani o bambini abbandonati in cambio di un sussidio statale; un aiuto che però interruppero quando ebbero il terzo figlio, con il quale si trasferirono a Castenaso.
Nonostante la povertà, intorno al 1900 il padre Carlo acquistò una bicicletta che, seppur scassata, funzionava ancora e doveva fungere da mezzo di trasporto: per la giovanissima Alfonsina fu amore a prima vista. Da adolescente aveva già perfezionato la propria tecnica e iniziò a partecipare ad alcune gare locali di nascosto dalla famiglia: a Torino, vera e propria patria del ciclismo, la sua presenza non causò particolare scandalo, e la ragazza ebbe modo di imporsi come “miglior ciclista italiana”; fu così brava che venne notata e invitata a partecipare a una gara in Russia, dove la ciclista ricevette un premio dallo zar in persona. Sempre nel torinese, Alfonsina stabilì il record di velocità femminile e venne invitata da degli impresari francesi a gareggiare a Parigi, dove la ciclista si affermò per la sua bravura.
Lo sport professionista però costava denaro, e i genitori le dissero che poteva continuare a gareggiare solo a patto di sposarsi e uscire così di casa.
Marito e manager
Fu così che nell’ottobre del 1915 Alfonsina Morini divenne Alfonsina Strada quando si sposò con il meccanico Luigi Strada, che divenne un suo grande sostenitore e vero e proprio manager; come regalo di nozze, ricevette una bicicletta da corsa. Due anni dopo Alfonsina si presentò per iscriversi al Giro di Lombardia: effettivamente non c’era alcuna norma nel regolamento che lo vietasse, eppure nessuna donna aveva mai partecipato alla gara. Fu per la giovane ciclista la prima occasione per gareggiare contro atleti uomini: la sua partecipazione suscitò un certo scandalo. Alfonsina arrivò ultima tra coloro che tagliarono il traguardo, ma comunque davanti a ben venti ciclisti che non completarono il tragitto.
Dopo aver dovuto rinunciare alla Milano-Modena a causa di un infortunio, Alfonsina si iscrisse di nuovo al Giro di Lombardia e si classificò ventunesima su trentasei ciclisti che tagliarono il traguardo.
La grande scommessa
Nel 1924 arrivò per Alfonsina un duro colpo: il marito venne ricoverato per una malattia mentale che non l’avrebbe più abbandonato fino alla morte, e la donna, dovendo mantenersi da sola e non riuscendo a farlo con il solo lavoro da sarta a cui si dedicava quando non si allenava, decise di tentare la grande scommessa: iscriversi al Giro d’Italia, la più importante e prestigiosa gara di quello sport.
La sua iscrizione non fu senza polemiche e anche tentativi di sabotaggio. In un certo senso, la Gazzetta dello Sport, organizzatrice del giro, forse accettò l’iscrizione di Alfonsina solo per farsi pubblicità: molti ciclisti famosi avevano disertato la corsa perché avevano chiesto (e si erano visti rifiutare) dei premi in denaro. La presenza di una donna suscitò polemiche ma, soprattutto, creò curiosità e attirò l’attenzione del pubblico.
Alfonsina, con la maglia numero 72, tagliava sempre il traguardo con un paio d’ore di ritardo rispetto al primo classificato, ma il fatto che comunque continuasse a tenere duro, e a completare i tragitti più difficili, le guadagnò rispetto, consensi e grande devozione da parte del pubblico. Ovunque tagliasse il traguardo l’aspettavano applausi, fiori, incoraggiamenti e anche premi in denaro: nella terza tappa ricevette anche un regalo (un mazzo di rose e cinquecento mila lire) da un messo del re Vittorio Emanuele III in persona. Grazie al denaro ricevuto, Alfonsina poté pagare le rette del manicomio per il marito e aiutare la propria famiglia.
A causa del ritardo accumulato nell’ottava tappa, però, la ciclista venne esclusa dalla competizione. Poteva comunque continuare a correre e a completare le tappe restanti, ma non avrebbe accumulato alcun punteggio. Nonostante ciò, Alfonsina decise di continuare, sfidando il meteo avverso, molteplici difficoltà e le tappe più impegnative del giro: alla fine, la donna fu tra i trenta ciclisti (su novanta) che arrivarono fino alla fine, e la sua perseveranza, coraggio e determinazione riuscirono infine a conquistare anche i giornalisti più duri e cinici. La sua partecipazione al Giro d’Italia fu un evento storico che marcò la storia del ciclismo e la resero un’eroina della parità di genere nello sport.
Icona del ciclismo
Purtroppo, in uno sport prettamente maschile, in una società autoritaria e maschilista come l’Italia degli anni Venti, non c’era posto per Alfonsina: negli anni successivi l’iscrizione al Giro d’Italia le fu negata, ma la ciclista partecipò comunque a competizioni importanti, sfidando grandi nomi del ciclismo come Cougnet, Colombo, Girardengo, Giardini, di cui conquistò il rispetto e la stima. Nel 1937 riuscì addirittura a battere la campionessa francese in carica.
Rimasta vedova, si unì in secondo nozze con l’ex ciclista Carlo Messori, con cui aprì un negozio di biciclette; ma anche il secondo marito morì, appena sette anni dopo il matrimonio, e Alfonsina decise di chiudere l’attività. Due anni dopo morì anche lei, di infarto, il 13 settembre. È ad Alfonsina Strada che è ispirata la canzone Bellezze in bicicletta, interpretata tra gli altri dalla grande Mina.
A cura di Chiara.
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