Laura Owens
Negli ultimi anni il mondo dell’arte ha assistito alla comparsa di un nuovo approccio, spesso definito come “sperimentale”. Gli artisti, incapaci di relegare se stessi ad una o un’altra corrente, si divertono a sperimentare e unire tecniche diverse. Astrazione, decorazione, figurazione, le tendenze artistiche confluiscono in opere uniche e originali, che sorprendono il pubblico e lo aiutano a ragionare sul presente.
Laura Owens, un’artista giovane e innovativa, è un chiaro esempio di questa tendenza. La Owens unisce e alterna tecniche pittore e composizione digitale, aggiungendo poi tocchi personali come disegni e schizzi fatti a mano. Le sue opere non sono mai semplici quadri, ma composizioni di elementi che imparano a convivere difronte allo sguardo dell’osservatore. L’artista, nata a Euclid (Ohio) nel 1970, è stata protagonista della scena artistica di Los Angeles per tutta la fine degli anni ’90.
Ha frequentato la Rhode Island School of Design nel 1992, per poi specializzarsi al California Institute of the Arts di Los Angeles.
Le mostre personali
Una delle prime mostre personali “significative” della Owens è stata ospitata dal Museum of Contemporary Art di Los Angeles nel 2003. Successivamente, l’artista ha avuto la possibilità di portare il proprio lavoro in giro per il mondo. E’ passata attraverso l’Aspen Art Museum in Colorado (2003), il Milwaukee Art Museum (2003), il Camden Arts Centre di Londra (2006), il Kunsthalle Zürich (2006), il Bonnefanten Museum (2007), e decine di altri musei.
A partire dal 2013, Laura ha trasformando il proprio studio in uno spazio espositivo, chiamato “356 Mission”. L’area espositiva, creata in collaborazione con il collezionista Gavin Brown e Wendy Yao, è rimasta aperta al pubblico fino al 2019 (anno in cui ha chiuso a causa della fine del contratto di affitto).
Anche la parte anteriore dell’edificio ospitava uno spazio espositivo – sempre gestito dalla Owens. Aveva scelto di chiamarlo libreria d’arte Ooga Booga #2, un prolungamento naturale dello spazio interno. Nel 2015 ha trovato una serie di giornali risalenti alla Seconda Guerra Mondiale nella sua casa di Los Angeles, e ha deciso di realizzare una serie di quadri ispirati proprio al periodo del conflitto.
Le opere hanno avuto un discreto successo e le hanno permesso di sperimentare unendo alla pittura anche la composizione digitale.
Contemporaneamente, si è dedicata alla produzione di importanti libri d’artista, aumentando la propria fama internazionale. Fin dal 2016, insegna all’Art Center College of Design di Los Angeles, provando a trasmettere la propria passione e conoscenza anche alle nuove generazioni della California.
Nel 2021 ha tenuto una mostra molto importante alla Fondation Vincent van Gogh, Arles e al Cleveland Museum of Art, dimostrando ancora una volta il proprio talento artistico.
Untitled (2015), Laura Owens
Nel 2015, Laura Owens ha realizzato un’installazione per il Whitney Museum of American Art. Parliamo di una serie di cinque tele autoportanti, che compongono “Untitled” (senza nome).
Le cinque tele sono disposte in una fila diagonalmente angolata, con lo scopo di riprodurre una frase.
Il piccolo passaggio riportato sull’opera, risulta leggibile solo in un determinato punto d’osservazione, per cui è necessario camminare lungo tutto il profilo dell’istallazione e “cercare” il punto giusto.
“There was a cat and an alien. They went in Antartica. Then they teleported to the center of the earth. There they goy 11,000000 Bombs and blew them up and turned earth”
Il breve racconto è riportato su linee orizzontali che ricordano il quaderno di un bambino. La semplicità della scrittura ricorda i temi dei bambini, ma con la consapevolezza dei problemi moderni. Tutta l’istallazione è un invito all’osservazione e alla scoperta. Lo sfondo delle tavole è carico di piccoli oggetti nascosti e di elementi sapientemente posizionati. Quello che Sarah Owens ci invita a fare è non soffermarci sul punto di vista più semplice, su quello più immediato, ma camminare lungo tutta la riva e scoprire anche le parti nascoste che credevamo di non riuscire a vedere.
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