Kiyohara Tama
Kiyohara Tama è stata una pittrice giapponese, nota anche con i nomi di Kiyohara Otama o Eleonora Ragusa, dato che ha trascorso la maggior parte della propria vita a Palermo.
La famiglia
Kiyohara Tamayo (si ricorda che in giapponese il cognome precede il nome) nacque il 17 luglio 1861 a Tokyo (in quell’epoca chiamata Edo), seconda figlia della famiglia Kiyohara. Il padre, Kiyohara Einosuke, gestiva il famoso tempio buddista di Zōjō-ji nel quartiere Minato di Tokyo. Kiyohara Tama iniziò a studiare pittura giapponese sin da piccolissima e, oltre alla pittura, posò come modella per lo scultore siciliano Vincenzo Ragusa.
Vincenzo Ragusa fu una figura che cambiò radicalmente la vita di Kiyohara Tama. Lo scultore siciliano trascorse sei anni in Giappone, dal 1876 al 1882, come consulente esterno, insieme ad Antonio Fontanesi e Giovanni Cappelletti, per la prima scuola d’arte statale giapponese, la Technical Fine Arts School, fondata nel 1876. L’invito di Ragusa, Fontanesi e Cappelletti faceva parte di un più ampio programma di apertura del Giappone alla cultura occidentale, con l’obiettivo di “sbloccare” il Giappone dal proprio irrigidimento socio-culturale. I tre artisti italiani ebbero una notevole influenza sullo sviluppo dell’arte giapponese moderna, mentre a loro volta studiavano la cultura giapponese e buddista. La Technical Fine Arts School chiuse per mancanza di fondi nel gennaio 1883, evento che impedì il rinnovo dei contratti dei tre artisti italiani.
In Italia
Fu così che nel 1882, quando Vincenzo Ragusa tornò a Palermo, portò con sé tre membri della famiglia Kiyohara: il padre Einosuke, che era anche pittore di acquerelli, sua moglie e la figlia Tamayo, all’epoca ventunenne.
Tornato in patria, Ragusa fondò una propria scuola d’arte, la Scuola Superiore d’Arte Applicata, dove i coniugi Kiyohara dovevano insegnare le tecniche giapponesi di acquerello. La scuola, però sopravvisse solo per qualche anno: reperire i materiali grezzi per insegnare le tecniche giapponesi era molto difficile, e la mancanza di fondi e finanziamenti determinò la chiusura della scuola. I coniugi Kiyohara lasciarono l’Italia e tornarono in Giappone, ma la figlia Tamayo rimase a Palermo, dove sposò Vincenzo Ragusa nel 1889, assumendo il nome italiano di Eleonora Ragusa.
Maestra degli acquerelli
Mentre la Scuola Superiore d’Arte Applicata stava via via fallendo, Ragusa era però riuscito a ottenere abbastanza finanziamenti pubblici da aprire un’altra scuola d’arte presso Palazzo Belvedere, il Museo Artistico Industriale, Scuole Officine (1884), sopravvissuto fino a oggi come Liceo Artistico. Una volta diventata la signora Ragusa, Tamayo ottenne il ruolo di vicerettrice del Museo Artistico Industriale e di direttrice della sezione femminile, e continuò a dedicarsi agli acquerelli, tecnica per cui acquisì in Italia un crescente riconoscimento. I suoi soggetti erano perlopiù fiori e paesaggi, ma anche persone e nature morte, che le procurarono molti premi durante diverse mostre d’arte; eccelleva anche nel ricamo, arte per la quale vinse una medaglia d’oro durante una mostra a Roma.
Nel 1927 Vincenzo Ragusa morì, all’età di ottantasei anni. Poco dopo, due giornali giapponesi scoprirono e riportarono la storia di Kiyohara, diffondendone la fama anche in patria. Forse fu grazie all’intervento dei due giornali che Kiyohara Tamayo fu rintracciata da alcuni famigliari, che le chiesero di rientrare in Giappone. Kiyohara Tamayo, a quel punto della propria vita, aveva quasi del tutto perso la sua padronanza del giapponese, ma acconsentì alla richiesta. Tornata a Tokyo, Kiyohara Tamayo aprì un proprio atelier a Shiba Shinbori, dove morì il 6 aprile 1939, all’età di settantasette anni.
Secondo le sue volontà, metà delle sue ceneri venne riposta nel tempio di famiglia a Chōgen-ji, mentre l’altra metà venne portata a Palermo e deposta accanto alla tomba del marito.
Eredità artistica
Kiyohara Tamayo fu un’artista molto attiva e prolifica. Purtroppo, solo le sue opere rimaste in Italia sono sopravvissute fino a noi, disperse in varie collezioni, mentre quelle conservate in Giappone andarono perdute durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Il suo stile univa il tratto sintetico tipico dell’arte giapponese alla ricchezza di particolari del naturalismo occidentale. Kiyohara Tamayo non dipinse solo su tela, ma anche su arazzi, paraventi, coperte e altri oggetti. Su alcune tavole, inoltre, Kiyohara Tamayo riprodusse alcuni oggetti della collezione Ragusa, la raccolta di opere d’arte giapponesi messa insieme dal marito Vincenzo durante la sua permanenza in Giappone. La collezione consta di 4172 pezzi ed è oggi custodita al Museo Etnografico Pigorini di Roma: rappresenta una delle più ricche e significative collezioni d’arte giapponesi presenti in Italia.
Nel 2017, a Palermo venne allestita una mostra dedicata a Kiyohara Tamayo e Vincenzo Ragusa, curata da Maria Antonietta Spadaro: O’Tama e Vincenzo Ragusa. Un ponte tra Tokyo e Palermo. L’allestimento sottolineò la fusione tra due culture che il rapporto tra i due artisti produsse, una reciproca influenza Italia-Giappone tra le più significative avvenute in Italia. Nel 2019, a Palazzo Reale venne esposta per qualche mese la collezione Ragusa. Alcune opere dell’artista giapponese hanno inoltre trovato posto nell’allestimento “Impressioni d’Oriente: arte e collezionismo tra Europa e Giappone” in mostra al Mudec di Milano da ottobre 2019 a febbraio 2020.
A cura di Chiara.
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