Cenni biografici del Tintoretto
Tra i più grandi esponenti della scuola veneziana, ultimo eccellente pittore del Rinascimento italiano, si annovera il nome dell’artista manierista Jacopo Robusti, a tutti noto come Tintoretto.
Nato a Venezia, la datazione della sua nascita risulta incerta – presumibilmente avvenuta intorno al 29 aprile 1519 – a causa della perdita dell’atto di battesimo custodito al tempo presso gli archivi della Chiesa di San Polo, devastata tragicamente da un incendio. Al fine di ricostruire una plausibile data, corre in aiuto l’atto di morte conservato presso la Chiesa di San Marziale, ove si riporta il 31 maggio 1594 come giorno del decesso, avvenuto all’età “de anni settantacinque”.
Figlio primogenito di Giovanni Battista Robusti – secondo una genealogia apocrifa, attestante origini bresciane, il vero cognome sarebbe Comin – Tintoretto deve il suo soprannome all’attività lavorativa svolta dal padre, tintore di stoffe. Forse il medesimo diminutivo gli fu altresì dato a causa della sua piccola statura che, accompagnato da un carattere pungente, gli valse l’epiteto di “grano di pepe”.
Jacopo trascorse gran parte della sua vita nella città natale, ove frequentò la bottega dell’artista Tiziano Vecellio; secondo un aneddoto, qui vi rimase appena dieci giorni, a causa di una presunta gelosia del maestro nei riguardi del suo allievo. Risale al 1539 un documento ufficiale nel quale Tintoretto si firma “maestro”, attestante il possesso di una bottega collocata presso Campo San Cassian di Venezia.
La fama e la spiccata arte di Tintoretto lo portano alla realizzazione di numerose opere nel corso della sua pregiata carriera, tra cui si annoverano le 16 tavole raffiguranti la Metamorfosi di Ovidio e numerose tele e dipinti per la Scuola Grande di San Rocco.
La mitologia nell’arte di Tintoretto
Rivolgiamo un’attenzione importante a due dipinti realizzati da Jacopo Tintoretto:
- Venere, Vulcano e Marte
- Leda e il Cigno
Venere, Vulcano e Marte
Autore: Tintoretto
Datazione: 1551-1552
Nome dell’opera: Marte e Venere sorpresi da Vulcano
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 135×198 cm
Ubicazione: Alte Pinakothek, Monaco di Baviera
In “Venere, Vulcano e Marte”, conosciuto anche come “Marte e Venere sorpresi da Vulcano”, il mito acquista una valenza allegorica dal fine moralistico, attraverso cui viene mossa una condanna dell’erotismo e della carnalità; le immagini mitologiche, invero, ben si prestano alla raffigurazione di momenti amorosi, in tal caso lontane dall’aspetto meramente divino.
Il dipinto mette in risalto non solo la bellezza di Venere che appare nuda, appena coperta da un drappo bianco, ma un’espressione di impercettibile turbamento dovuta ad un senso di vergogna, non tanto per il tradimento scoperto dal marito, piuttosto per il ritrovarsi così nuda di fronte agli occhi di Vulcano.
Quest’ultimo, rappresentato poco curato, coperto da un solo drappo rosso e lontano da ogni comune tradizione che ne delinea un carattere aggressivo, appare piacevolmente eccitato alla vista della moglie che tenta di denudare.
A completare il quadro vi è la figura di Marte, eroico dio della guerra, vestito di elmo e corazza, nascosto e spaventato all’idea che il cagnolino – simbolo della fedeltà coniugale – sveli la sua presenza al dio Vulcano; troviamo infine il piccolo Amore dormiente, armato di freccia, simbolo di un lavoro ormai compito.
Un’atmosfera serena, dunque, ma che appare al contempo bizzarra e comica.
Leda e il Cigno
Autore: Tintoretto
Datazione: 1550-1560
Nome dell’opera: Leda e il cigno
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 176×221 cm
Ubicazione: Uffizi, Firenze
L’erotismo e la sensualità tornano ampiamente nella raffigurazione mitologica di “Leda e il cigno”, realizzata in un arco di tempo di dieci anni circa.
A sinistra del dipinto ad essere esaltata è la bellissima regina di Sparta Leda, anch’essa nuda e adornata secondo la moda veneta del cinquecento, adagiata sul letto a baldacchino e circondata di tessuti di pregio; la donna, dallo sguardo sereno e dal sorriso malizioso, è intenta ad accarezzare un candido cigno, plausibile raffigurazione della presenza di Zeus, mentre a suoi piedi vi è un piccolo e gioioso cagnolino.
Sulla destra vi è la presenza di una serva, anch’essa ben curata, che regge una gabbia al cui interno è racchiusa un’anatra.
Il dipinto appare così intriso di un’elevata carica erotica, determinata non solo dalla nudità e dalla posizione assunta dal personaggio di Leda, ma anche dallo scambio di sguardi delle due donne.
E’ evidente come la mitologia – da cui spesso si attinge – sia per Tintoretto un mezzo mediante cui esporre e talvolta condannare l’insieme delle varie manifestazioni del desiderio sessuale; un mezzo e non un fine, dunque, che diviene reale dopo aver perso la sua aura divina, quasi borghese, ma che non viene mai meno alla raffinatezza e all’eleganza, ampiamente esaltata.
A cura di Martina N.
Scrivi un commento