Christine de Pizan: un nome poco noto, eppure appartenente una donna che, rivoluzionaria per la sua epoca, è stata portavoce di valori umanistici e di riflessioni all’avanguardia sull’intelligenza e la condizione femminile. Innalzandosi a difesa anche delle vedove e dei figli, con i suoi scritti ha mantenuto la propria famiglia guadagnandosi il titolo di “scrittrice” in un mondo dominato dagli uomini. E ha dimostrato e affermato, in anticipo di mezzo millennio, che «una donna intelligente riesce a far di tutto e anzi gli uomini sarebbero molto irritati se una donna ne sapesse più di loro.»

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- Grazie davvero per il tempo che ci sta dedicando! Per iniziare, può parlarci un po’ di lei?
Ho sempre avuto una grande passione per la lettura, prima ancora che la scrittura, posso dire di essere stata prima di tutto una lettrice che una scrittrice. Ho avuto un percorso “letterario” molto lungo, a partire dagli anni Novanta, nell’era prima della diffusione di internet, direi un’era di lettori forti. Ho iniziato a lavorare come redattrice in Mondadori, ruolo che ricopro da vent’anni, curando libri per ragazzi e adulti. Questa mia professione ha nutrito la mia altra professione (la scrittura), intervenire sui libri degli altri mi ha aiutato molto ad affinare la scrittura e tutto quello che sta dietro la costruzione di un romanzo. Anche in questo caso ho due anime, perché scrivo sia per adulti che per ragazzi; Sulle onde della libertà – I bambini di Gaza, da cui è stato tratto l’omonimo film, è stata la mia prima opera di narrativa per giovani. Però credo di poter dire che esiste un comune denominatore in tutti i miei libri, sia per adulti che per ragazzi: la presenza della storia, sia passata che contemporanea. Alla fine, quello che mi interessa raccontare è la vita quotidiana delle persone, la “storia piccola” delle persone normali che si inseriscono nella Storia con la S maiuscola.
- Come ha “conosciuto” la figura di Christine de Pizan, nome per lo più sconosciuto al grande pubblico?
È vero che nella nostra cultura Christine de Pizan è una figura di nicchia, purtroppo, ma lei nella realtà non è stata un personaggio di nicchia: tutt’altro, ha avuto un’ampia influenza nella sua epoca, era diventata quasi una figura di culto, le sue opere venivano acquistate e lette dalle regine d’Europa. È stata la prima biografa di Giovanna d’Arco. Purtroppo è conosciuta più in ambito specialistico, ma questa non è una novità: è il destino che è toccato a molte donne, il cui operato è stato cancellato dalla memoria storica perché non è stato registrato o tramandato. Dopo il picco di fama, Christine è stata progressivamente dimenticata per poi essere “riscoperta” nel Novecento.
Ho scoperto Christine di Pizan grazie a un saggio di Luisa Muraro, filosofa del pensiero della differenza e fondatrice della Libreria delle donne. Non ne avevo mai sentito parlare, né a scuola né all’università. Mi sono incuriosita e ho scoperto un mondo, mi sono innamorata di questa donna così grande.
- Com’è stata la sua esperienza di scrittura, come si è districata tra ricerca storica e necessità di modernizzazione per rendere il romanzo fruibile al lettore contemporaneo?
L’esperienza di scrittura mi è costata tanto in termini di tempo: cinque anni di ricerca e costruzione, non solo per la progettazione della trama ma soprattutto della voce narrante. La sfida più grande è stata infatti trovare la giusta inquadratura per la voce narrante, che doveva essere credibile ma nemmeno artificialmente arcaica, rischiando di rendere un falso storico. Tra le fonti ho trovato delle liste della spesa, scritte nel Medioevo, che mostravano una lingua molto colloquiale, addirittura moderna, rispetto a quella usata nei documenti ufficiali. Prendendo ispirazione da lì, mi sono mossa scegliendo la forma epistolare: è stato un azzardo, perché pur avendo Christine scritto tantissimo, ho ipotizzato che lei abbia scritto l’unica opera che in realtà non ci è pervenuta, ossia una serie di lettere alla figlia, Marie, ritiratasi in convento, una scelta forse non pienamente condivisa dalla madre. In queste lettere Christine si racconta e il tempo verbale della forma epistolare è il passato prossimo, un tempo passato ma prossimo, cioè vicino a noi, perché volevo restituire alla contemporaneità quella che era la voce dell’autrice. D’altronde, Christine ha scritto in prima persona e quindi abbiamo la sua voce diretta, cosa molto rara per una donna del Medioevo. Ho cercato di essere fedele a quella voce, senza indulgere al romanzesco. Mi sono domandata: come posso raccontare Christine nei suoi silenzi, dove non si è raccontata? Ho cercato di essere molto delicata, andando a colmare con il sentimento di oggi quello che poteva essere stato un sentimento di allora tentando di non imporre una mia visione o interpretazione. Per esempio, sempre partendo da dati documentati, Christine nel romanzo ha un rapporto con un cagnolino: l’animale in sé l’ho inventato, perché la donna non ne parla mai nelle sue opere, ma nelle sue fonti iconografiche (che mi sono state molto utili per la documentazione) è sempre rappresentata con un cagnolino bianco in grembo. Non è detto che avesse un cane (probabilmente era simbolico: nel Medioevo si diceva che un cagnolino bianco favorisse la memoria o la concentrazione), però ho deciso di sviluppare a livello narrativo questo particolare.
- Christine è senza dubbio una donna di grande talento e intelletto, ma bisogna dire che ha avuto anche molta fortuna, a partire da un padre progressista e umanista che le ha concesso di studiare nonostante fosse una femmina. Quanto erano fuori dalla norma figure genitoriali di questo genere?
Lei è stata sicuramente molto fortunata, è stato un caso raro. È stata una donna che ha scardinato tutti i pregiudizi e gli stereotipi dell’epoca e ci ha restituito un Medioevo complesso, dove succedeva di tutto e il contrario di tutto. Se da un lato i ruoli erano ben definiti, con la donna chiusa all’interno delle mura domestiche e l’uomo proiettato all’esterno, dall’altro lato c’erano anche figure maschili illuminate, non solo il padre di Christine che la vuole far studiare contro il volere della madre, ma anche il marito e diverse figure di potere, come la regina Isabella di Baviera. In generale, il cammino dell’istruzione è centrale nell’emancipazione femminile e così è stato anche per Christine; da bambina ha avuto la possibilità di accedere alla biblioteca del Louvre, la più grande d’Europa, dove i Valois avevano raccolto e divulgato testi letterari in volgare francese, traduzioni di testi latini e arabi.
- La voce di Christine ci regala tantissime riflessioni che sono all’avanguardia e, oserei dire, ancora tristemente vere. Per esempio: una donna deve essere brillante, ma non troppo, per non oscurare gli uomini. Cosa ne pensa?
È vero. Christine è rivoluzionaria ma, allo stesso tempo, “prudente” (termine che lei stessa usa nel suggerire il giusto comportamento alle vedove: ci vogliono “coraggio e prudenza”). Nel modo di proporsi agli uomini, anche nel modo di svelare il proprio talento, Christine rimane sempre un po’ umile: mostra quello che è senza esagerare, senza oltrepassare certi confini invisibili, cosa che in effetti si fa ancora oggi, inconsciamente. Sono lacci interiori che Christine riflette meravigliosamente nelle sue opere.

Foto tratta da Festival con le ali
- «Le femmine non sono abilitate a volere, solo ad accogliere di buon grado ciò che avviene se combacia con quanto avevano chiamato a sé. Volere è da maschi.» Pensa che in qualche modo la volontà femminile sia ancora “limitata” dai retaggi culturali, dagli stereotipi, dalle pressioni sociali?
Assolutamente sì. A volte siamo noi stesse che ci precludiamo quel volere, lo sminuiamo, limitandoci ad accettare quello che arriva dalla vita, ritenendo che la cosa più importante sia un’altra. Luisa Muraro lo dice a sua volta: sebbene lei abbia un approccio al femminismo diverso, che diffida delle pari opportunità in quanto le donne non devono imitare gli uomini accettando i principi del patriarcato (come la competizione e la sopraffazione), anche secondo lei la donna deve affermare la sua libertà di desiderare, di volere.
- Quanto era difficile per una donna sopravvivere da sola, considerata l’instabilità sociopolitica dell’epoca, e quanto è stata straordinaria Christine de Pizan a mantenere sé stessa e la famiglia autonomamente, vivendo di sola scrittura, senza mai risposarsi o cercare l’appoggio di un uomo?
È stata una scelta assolutamente fuori dal comune. Una scelta che probabilmente si è sposata con circostanze favorevoli. La stessa Christine vi riflette: quando il duca le commissiona la stesura della biografia del re (un gesto sicuramente di grande apertura mentale), la donna non esclude che comunque si tratti di un’eccezione alla regola, di uno sfoggio di originalità tipico dei potenti. Christine era molto avanzata, faceva osservazioni estremamente all’avanguardia, però è sempre rimasta entro confini che non hanno mai sfidato l’autorità. Ancora oggi, a rifletterci, non è passato molto tempo da quando si dava per scontato che una donna fosse “mantenuta” (dalla famiglia di origine o dal marito) piuttosto che si mantenesse da sé. Che oggi una ragazza si possa laureare, anche questa è una conquista relativamente recente.
- Un’altra protagonista del romanzo è Dama Fortuna: i rovesci della sorte, il favore di un re o mecenate che può elevarti ma anche abbatterti. È la stessa Christine a parlarne nelle sue opere?
Christine citava molto la Dea Fortuna nelle sue opere. È una citazione che arriva dalla letteratura medioevale, soprattutto Boezio, che è molto diffusa e che Christine riprende a sua volta. Però Christine, a suo modo, è una donna laica: nelle sue opere sicuramente cita Dio, ma il suo spirito è abbastanza laico nel leggere la società, non è più la tipica donna del Medioevo ma è già proiettata verso l’Umanesimo, se non addirittura al Rinascimento, in cui al centro vi sono le virtù dell’essere umano. Nel leggere il destino, lei fa meno riferimento a Dio e a un discorso di ricompensa, provvidenza, grazia, per interpretare invece la realtà contemporanea con criteri realistici, per cui la fortuna può rovesciare la sorte di re e uomini, e in questo senso è quasi un elemento democratico, perché colpisce tutti indistintamente.
- Toccante è il rapporto con la figlia, tramite cui Christine riflette anche sul rapporto genitori-figli, sul ruolo di madre, sulle differenze tra maschi e femmine. Che cosa si sa sul destino dei figli di Christine?
Sappiamo che un suo figlio è morto, ma Christine ci racconta molto poco di lui. Di un altro figlio, Jean (che in seguito ha scritto un’opera in versi che ha ottenuto un discreto successo), sappiamo che Christine fece del suo meglio per “piazzarlo” presso duchi e nobili. In questo senso, Christine è molto vicina e contemporanea come madre, ha tentato di collocare il figlio nel giusto ambiente per assicurargli il futuro, come la madre di oggi che tenta di trovare lavoro al proprio figlio. Anche l’epoca in cui si trova a vivere ha molti punti in comune con il presente: crollano le certezze religiose, il mondo si allarga, cambiano le prospettive, si avverte più insicurezza. La figlia Marie si è ritirata in convento, forse scegliendo una via sicura, convenzionale, in risposta alla vita non convenzionale e anomala condotta dalla madre.
- Secondo lei, quali sono le riflessioni più moderne e rivoluzionarie di Christine, considerato il suo ambiente e il suo tempo?
Sicuramente Christine è stata una femminista, ma non nel modo in cui intendiamo oggigiorno il femminismo. Fece affermazioni rivoluzionarie e femministe: sicuramente, la più importante è quella che recita “donne e uomini sono pari in intelletto e virtù”, seguita da “Una donna non prova alcun piacere a essere stuprata, ma un dolore senza pari”. Christine rimane una donna del suo tempo, aliena da ogni estremismo e con un basso profilo, ma è femminista perché ha votato la sua vita alla causa delle donne con l’arma del buonsenso.
Copyright HarperCollins
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