Elisa Salerno
Femminista e cattolica: un connubio anomalo, e per questo tenuto nascosto e censurato sia dalla Chiesa sia dal fascismo. Questo però è stata Elisa Salerno, giornalista e scrittrice che impegnò la propria vita a lottare contro la disuguaglianza di genere all’inizio del secolo scorso.
Una famiglia numerosa
Elisa Salerno nacque il 16 giugno 1873 a Vicenza in una famiglia benestante: i suoi genitori, Antonio Salerno e Giulia Menegazzi, gestivano un forno e possedevano alcuni immobili che garantivano loro una discreta rendita. Elisa era la sesta di nove figli, ma solo lei e la sorella maggiore Maria sopravvissero fino alla maggiore età. Elisa stessa era di salute cagionevole, cosa che le impedì di frequentare la scuola e che ne ritardò gli studi; la ragazza riuscì a completare il ciclo elementare solo quando ebbe quindici anni. Ciononostante, Elisa era estremamente curiosa e studiosa, e si dedicò a una vasta gamma di letture in autonomia, approfondendo le lingue straniere, la storia, la filosofia, la teologia: queste ultime materie che, in quanto donna, all’epoca non avrebbe potuto studiare in una scuola pubblica.
L’amore per la religione
Elisa era estremamente religiosa e avrebbe voluto diventare una suora missionaria; purtroppo, anche in questo caso la sua salute debole le fu d’ostacolo. All’età di diciannove anni entrò a far parte del Terz’ordine francescano come segretaria, e in seguito si iscrisse alla Società cattolica operaia femminile di Mutuo Soccorso di Sant’Anna (1896), dove venne in contatto con le prime idee femministe di ispirazione cristiana. Idee che era molto difficile portare avanti in un ambiente estremamente conservatore come quello di Vicenza: infatti, Elisa trovò difficoltà a trovare uno spazio per esprimersi anche come giornalista.
Iniziò allora a pubblicare degli articoli sul giornale cattolico progressista Il Vessillo Bianco, dando voce alle sue idee femministe, soprattutto all’idea di creare un movimento femminista cristiano; fu in uno dei suoi articoli che accusò l’ambiente cattolico di Vicenza di essere conservatore e antifemminista.
Quando, nel 1906, la pubblicazione de Il Vessillo Bianco venne temporaneamente sospesa, Elisa provò, con grande difficoltà, a far pubblicare alcuni suoi articoli sul giornale cattolico conservatore Il Berico: articoli che erano di natura troppo femminista e che vennero ostacolati in ogni modo dal direttore del giornale, Adriano Navarrotto. Elisa tornò immediatamente al Vessillo Bianco non appena tornò in circolazione nel 1908. In quello stesso anno tentò un’impresa ardita: la pubblicazione, sotto lo pseudonimo di Lucilla Ardens, di un romanzo, Un piccolo mondo cattolico, che incontrò una forte opposizione dall’ambiente religioso, tanto che l’autrice dovette tornare sui suoi passi e fare un vero e proprio atto di pentimento.
L’attivismo
Negli anni prima della guerra, Elisa espanse il suo circolo di conoscenze, entrando in contatto con esponenti del movimento cattolico, come Giovanni Veronesi e Giuseppe Toniolo (fondatore dell’Unione delle donne cattoliche italiane), ma anche con importante figure laiche, tra cui lo scrittore e poeta Antonio Fogazzaro. Con l’aiuto di quest’ultimo e un sostegno economico da parte del padre Antonio, nel 1909 Elisa lanciò un proprio giornale a cadenza bisettimanale, La Donna e il lavoro. Giornale delle classi lavoratrici femminili.
Il giornale non fu un grande successo ma nemmeno un fallimento; ebbe una discreta diffusione, e permise ad Elisa di pubblicare in più numeri il suo trattato sulla donna, in cui denunciava le condizioni delle donne in tutti gli ambiti, dal lavoro alla famiglia, auspicando la nascita di un movimento sindacale cattolico femminile e una maggiore emancipazione. Anche questo scritto incontrò una forte opposizione dal mondo cattolico, che intervenne diffamandola e attaccandone la credibilità.
Nonostante il profondo senso religioso e il rispetto per la Chiesa, la reazione degli ambienti conservatori non fece altro che infiammare la lotta femminista di Elisa. Nel 1916, dopo aver letto, con grande indignazione, le affermazioni misogine presenti nella Summa theologica di san Tommaso d’Aquino, scrisse un opuscolo in difesa della donna, Per la riabilitazione della donna, a papa Benedetto XV. E di nuovo, la reazione dell’ambiente cattolico fu estremamente violenta: il vescovo Ferdinando Rodolfi disconobbe pubblicamente il giornale di Elisa La donna e il lavoro, che la donna sostituì, nel 1918 , con un altro periodico, Problemi femminili. Elisa Salerno fece di nuovo un atto di penitenza ma non ritrattò le idee femministe espresse nel suo opuscolo.
L’ostracismo
Durante la guerra le condizioni famigliari di Elisa si aggravarono: il padre si ammalò (e sarebbe morto negli anni Venti), il paese sprofondò in una crisi economica in cui anche la famiglia rimase coinvolta. Eppure Elisa non smise si scrivere i propri articoli, denunciando apertamente l’antifemminismo degli ambienti cattolici più conservatori e del papa stesso, tanto che nel 1925 il vescovo Rodolfi proibì di far stampare e diffondere Problemi femminili, che agonizzò lentamente fino a chiudere definitivamente nel 1927. E nonostante le difficoltà economiche della famiglia, ora privata pure del poco reddito del giornale, con due nipoti (le figlie della sorella Maria) da mantenere, Elisa questa volta si rifiutò di fare atto di pentimento e come punizione venne ostracizzata dall’ambiente cattolico e privata dei sacramenti.
Gli anni Trenta e della Seconda Guerra Mondiale furono durissimi per Elisa Salerno. A causa della censura cattolica, a cui si aggiunse quella fascista, molti dei suoi scritti rimasero bozze che non vennero mai pubblicate. La donna, in quanto devotamente cattolica e fedele al messaggio del Vangelo, soffriva profondamente dell’ostracismo a cui era sottoposta e si isolò sempre di più. Quando, terminata la guerra, riuscì a dare alle stampe alcuni suoi scritti, nonostante le speranze di un cambiamento, ricevette la stessa reazione di chiusura e censura da parte della Chiesa: il parroco di Carmini, anzi, si rifiutò di darle la comunione.
Fu così che Elisa Salerno morì il 15 febbraio 1957, nella città di Vicenza in cui aveva vissuto per tutta la vita.
A cura di Chiara.
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