Introduzione
L’arte performativa, realizzata attraverso performance live dal forte impatto emotivo, riesce a coinvolgere l’osservatore e fargli vivere sensazioni mai provate. Questa specifica forma di espressione artistica nasce dal desiderio di “mandare un messaggio”, dalla voglia di plasmare la realtà secondo il proprio volere.
Vanessa Beecroft rientra nella lista degli artisti performativi più interessanti di fine Novecento. I suoi lavori sono stati presentati su palcoscenici internazionali e le sue performance sono state ospitate da alcuni dei musei più belli del mondo.
Le sue esibizioni (intitolate VB, seguite dal numero) hanno promosso una nuova visione del corpo femminile, una nuova idea di femminilità e di sensualità. Vanessa Beecroft sfida le regole dell’abbigliamento, del pudore e della libertà individuale, alla ricerca della verità e della sua essenza più autentica.
La Beecroft è una delle prime a collaborare con importanti marchi della moda, già a partire dagli anni ’90, creando una nuova congiunzione tra arte e moda. Nel corso della sua sperimentazione artistica, è passata attraverso il disegno, la fotografia e la scultura, cercando ogni mezzo a propria disposizione per offrire nuove prospettive del corpo femminile.
La sua arte è sempre in continua evoluzione, alla ricerca di novità e innovazione, con l’obiettivo di sorprendere il proprio pubblico ed incarnare la propria sofferenza.
Le opere dell’artista
Le protagoniste indiscusse delle performance di Vanessa Beecroft sono le donne, spesso scelte direttamente per strada. L’artista sceglie le proprie modelle in base a specifiche necessità fisiche, osservando il loro corpo alla ricerca di ciò che vuole trasmettere.
In diverse performance il tema dell’alimentazione e dei disturbi alimentari viene portato in scena in modo nuovo e impressionante. I volti delle modelle sono pallidi e delicati, i loro abiti strappati e spesso inesistenti. La nudità viene presentata al pubblico con la stessa forza di cui è capace Vanessa, come un’arma da sfruttare con sicurezza.
La sua prima opera, dedicata al tema della bulimia, rappresenta visivamente il difficile percorso dell’artista. Per otto anni, Vanessa ha annotato quotidianamente ciò che ingeriva, creando un vero e proprio diario alimentare (simbolo della sua bulimia). Le ragazze scelte per la performance impersonano un suo alter ego, e sono per questo consumate, sgraziate e scomposte. I loro corpi fragili rappresentano la debolezza della Beecroft nei confronti del legame con il cibo.
Vale poi la pena citare il quadro vivente del 2003, “VB52”, dove un gruppo di modelle seminude vengono distribuite attorno ad un lungo tavolo di cristallo imbandito. Le varie portate posizionate lungo la tavola seguono un ordine cromatico, dal bianco (uova, cavolo, latte) fino all’arancio (mandarini e carote), al verde e al rosso, concludendosi poi con il viola delle melanzane e delle prugne. Le modelle sedute rappresentano nuovamente il difficile legame con il cibo, che diventa incorporeo e complesso, legato ad una confusione continua e difficile da gestire.
Una difficoltà simile si riscontra nel quadro vivente “VB South Sudan”, dove l’artista è ritratta con due neonati di colore nella Diocesi di Rumbel. La composizione pittorica segue un ordine cromatico molto preciso, con l’obiettivo di denunciare le condizioni drammatiche dei bambini che vivono negli orfanotrofi in Sudan, lì dove i fondi sono ridotti al minimo. La forza della rappresentanze è innegabile, e il messaggio arriva dritto al cuore dell’osservatore.
I lavori più recenti dell’artista hanno un approccio leggermente diverso, alla ricerca della sua nuova visione artistica. La forza impattante delle prime performance viene sostituita da una nuova teatralità, che trasforma i corpi e la loro funzione primaria.
Nell’opera “Il respiro delle statue”, la Sala della Niobe degli Uffizi si trasforma in un teatro greco in cui la tragedia classica prende vita attraverso la composizione dall’artista. L’obiettivo principale è quello di mettere in scena il contrasto tra l’essere e l’apparire, utilizzando le luci e gli oggetti di scena per rendere “bello” quello che in realtà non è. Le modelle sono sofferenti e in difficoltà, ma le luci le rendono subito eteree. Il contrasto tra le due realtà porta l’osservatore ad interrogarsi tra l’idea dell’essere e dell’apparire, chiedendosi cosa sia realmente importante.
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