Philomena Lee
L’irlandese Philomena Lee è ricordata per la sua lotta contro l’adozione “forzata” dei bambini di ragazze madri, messa in atto in alcuni conventi cattolici. Philomena ha vissuto sulla sua pelle questa esperienza e l’ha riportata nella sua autobiografia, The Lost Child of Philomena Lee curata da Martin Sixsmith, tradotta in italiano semplicemente come Philomena.
Le origini: Limerick
Annie Philomena Lee nasce a Limerick, in Irlanda, il 24 marzo 1933. L’Irlanda è un Paese molto cattolico, e la famiglia di Philomena non è da meno. La madre di Philomena muore di tubercolosi quando la piccola ha soli sei anni; il padre, un macellaio, rimasto solo a crescere Philomena, le sorelline Kaye e Mary, e i figli maschi, decide di mandare le bambine in un convento non appena possibile. Philomena viene quindi educata in un convento cattolico, imparando ad avere rispetto e timore per le suore, e in generale un atteggiamento umile e sottomesso. Dopo il periodo in convento, Philomena trascorre del tempo con la zia materna, Kitty Madden.
Il bambino illegittimo
All’età di diciott’anni, Philomena rimane incinta di un giovane di nome John. La gravidanza viene vista come un peccato gravissimo, per cui la giovane deve scontare un prezzo altissimo. Per nascondere la vergogna, e trovare un posto sicuro dove portare a termine la gravidanza, la giovane Philomena viene inviata nel convento di Sean Ross, a Roscrea, nella contea di Tipperary. Il convento ospita le ragazze madri in attesa del parto, impiegandole nel frattempo per dei lavori al convento stesso per ripagare l’ospitalità e le cure. Lo stesso accade a Philomena, che per “ripagare” la sua permanenza al Sean Ross, nonché le cure prestate a lei e al suo neonato, rimane a lavorare al convento fino all’età di ventidue anni.
Prima che Philomena lasci il convento, il suo bambino, Anthony, viene dato in affidamento a una famiglia cattolica americana. Philomena non vuole in alcun modo dare in adozione il bambino, ma la pratica riservata alle ragazze non sposate è severa e purtroppo molto comune: senza appoggi né protezione da parte di terzi, Philomena viene obbligata a firmare le carte per la cessione della responsabilità genitoriale e dare in adozione il bambino, senza sapere nulla dei genitori adottivi, se non che sono americani e che avrebbero fatto presto ritorno negli Stati Uniti.
La rivelazione
L’adozione forzata del piccolo Anthony rappresenta per Philomena un trauma che si porterà dietro tutta la vita, ma purtroppo questo è il destino riservato alle ragazze madri e ai loro figli “illegittimi”. Una volta uscita dal convento, Philomena decide di trasferirsi in Inghilterra e frequentare una scuola per infermiere; non abbandona, comunque, la speranza di scoprire, un giorno, l’identità della famiglia affidataria del figlio.
Nel 1959 si sposa e dà alla luce altri due bambini, Jane e Kevin. Non rivela però al marito, né ai figli, il segreto della sua gravidanza precedente. È solo nel 2003, quando ormai Philomena è anziana, che la donna decide di rivelare alla propria famiglia l’esistenza di un terzo figlio, avuto quando era giovanissima, di cui non conosce l’identità, né il destino che gli è toccato.
La figlia Jane rimane toccata dalla vicenda e quando, la sera di Capodanno durante una festa, ha la possibilità di parlare con il giornalista Martin Sixsmith, gli racconta la vicenda della madre. Martin Sixsmith è un giornalista e produttore televisivo britannico, e in quel momento sta cercando un nuovo incarico che lo faccia uscire dalla “crisi lavorativa” in cui è sprofondato. Dopo qualche tentennamento, decide di accettare di aiutare Philomena a scoprire che cosa è successo al suo bambino.
La ricerca e la scoperta
Per Martin e Philomena iniziano anni di intense ricerche. Si scontrano con l’ostruzionismo del convento di Sean Ross, che dichiara di aver perso ogni documento relativo alle adozioni di quegli anni in un incendio; al di là della vicenda personale di Philomena, le ricerche del giornalista svelano la tragica pratica di far partorire le donne madri in convento, parti che spesso finiscono con la morte della madre e del neonato, come testimoniato dal numero delle lapidi nel cimitero del convento. Altrettanto tragica è la pratica di “vendere” in adozione i bambini partoriti senza il consenso delle madri.
Alla fine, Philomena e Martin riescono a scoprire l’identità dei genitori affidatari di Anthony: Doc e Marge Hess, che hanno adottato dal convento irlandese due bambini, chiamati poi Michael e Mary, per non separarli dato l’evidente legame che gli univa. Michael Hess, scoprirà Philomena, è morto di AIDS nel 1995, ma ha avuto una vita agiata e di successo; cosa ancora più importante, anche Michael ha sempre tentato di rintracciare la madre, e come richiesta prima di morire ha disposto di venire sepolto al convento di Sean Ross, sperando, prima o poi, che la madre un giorno l’avrebbe trovato. E Philomena, alla fine, riesce a trovare e a raccogliersi sulla tomba del figlio, proprio nel posto dove tutto era iniziato.
Le vicende di Philomena vengono poi riassunte nel libro The Lost Child of Philomena Lee di Martin Sixsmith, che diventa un caso internazionale e ispira il film Philomena, con Judy Dench. Il libro crea abbastanza risonanza da permettere a Philomena Lee di lanciare il Philomena Project insieme alla Adoption Rights Alliance, per migliorare le leggi sull’adozione e gettare luce sulle adozioni passate, chiedendo la pubblicazione dei documenti di adozione in mano alle chiese, ai conventi o alle agenzie private. Nel 2014, Philomena Lee incontra papa Francesco per discutere delle politiche di adozione messe in atto dai conventi cattolici.
A cura di Chiara.
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