Maria Alyokhina
Maria Vladimirovna Alyokhina, nota anche semplicemente come “Masha”, è un’attivista politica russa, attualmente inserita nella lista dei ricercati dal governo Putin per aver apertamente protestato contro la guerra in Ucraina.
Masha è nata il 6 giugno 1988 a Mosca, figlia di una programmatrice e di un professore di matematica. Viene cresciuta dalla madre, e sin dalla giovinezza dimostra la propria ribellione al sistema, denunciando la “repressione educativa” dell’istruzione scolastica russa. Una volta adulta, studia giornalismo e scrittura creativa a Mosca, corso durante il quale si dedica anche alla poesia. Nel 2008, ha un figlio, Filip, da Nikita Demidov.
L’attivismo
Sin dal 2008 Masha diventa una sostenitrice di Greenpeace Russia, e fa parte di Danilovcy, un movimento giovanile russo a sostegno dei bambini, siano essi orfani, malati o affetti da dipendenze.
Nel 2011 entra a far parte del gruppo punk rock russo Pussy Riot, insieme ad altre dieci donne. Pussy Riot è un gruppo che fa della musica e dell’esibizione una protesta: i membri mettono in scena esibizioni di gruppo non autorizzate e provocatorie, le filmano e le postano su internet, dando voce a tematiche come il femminismo, i diritti civili e i diritti LGBT. Le Pussy Riot non nascondono la propria opposizione al presidente russo Vladimir Putin e alle sue politiche, e per questo si attirano ben presto le attenzioni del governo.
Il caso Pussy Riot
Il primo arresto non si fa aspettare e avviene nel 2012. Masha, insieme ad altre tre ragazze delle Pussy Riot (di cui una è rimasta anonima, le altre due erano Nadežda Tolokonnikova e Ekaterina Samucevič), il 21 febbraio mette in scena una canzone nella cattedrale Cristo Salvatore Alëchina, dove si invoca la “madre di Dio”, pregandola di mandare via Putin. Il video viene poi postato su YouTube e le reazioni del governo sono immediate: Masha e Tolokonnikova vengono arrestate con l’accusa di vandalismo e di istigazione all’odio religioso e vengono condannate a due anni presso una colonia penale.
Il caso delle Pussy Riot attira però l’attenzione internazionale: Amnesty International riconosce la gravità dell’arresto di Masha e la denomina una “prigioniera di coscienza” mentre Solidarnost (movimento politico democratico russo) la riconosce come “prigioniera politica”. Durante il processo, Masha denuncia la superficialità e l’irregolarità delle accuse e del procedimento, e il maltrattamento dei prigionieri; vegana dichiarata, sembra sia svenuta diverse volte in aula perché non le era stato fornito alcun pasto vegano.
L’attenzione internazionale attirata fa sì che Masha e la sua compagna vengano rilasciate prima della fine della condanna, il 23 dicembre 2013. Masha e Tolokonnikova annunciano di voler continuare la loro lotta e di voler concentrarsi sui diritti dei prigionieri in Russia.
Nuovi arresti e aggressioni
Subito dopo il loro rilascio, Masha e Tolokonnikova fondano un canale mediatico, MediaZona, che affronta diverse tematiche connesse al sistema penale e giudiziario russo; poco dopo, nel febbraio 2014, entrambe le donne vengono arrestate a Sochi con l’accusa di furto, accusa che poi decade; le due attiviste vengono rilasciate. Ma in quello stesso mese vengono aggredite dal gruppo paramilitare russo dei Cosacchi, che le insegue e le ferisce a colpi di frustino mentre fanno la ronda nella città di Sochi durante le Olimpiadi invernali del 2014. L’immagine delle due donne colpite dal frustino fa il giro del mondo; nel marzo dello stesso anno, Masha e Tolokonnikova vengono nuovamente aggredite nel centro di Nizhny Novgorod.
L’oppressione non si ferma
Nel corso del 2020 e del 2021, la vita di Masha è costellata di arresti. La donna viene dapprima arrestata il 23 gennaio 2021 per aver sostenuto pubblicamente l’avversario politico di Putin, Alexei Navalny, anche se l’accusa che le viene rivolta è di aver infranto le norme sanitarie durante la pandemia di Covid-19. Masha viene posta agli arresti domiciliari e la sua detenzione viene estesa fino al 23 giugno: in quella stessa data, però, Masha e altre due attiviste Pussy Riot, Lucy Shtein (attualmente compagna di Masha) e Anna Kuzminykh, vengono ulteriormente condannate a quindici giorni di prigione (l’accusa, questa volta, è di aver disobbedito ai funzionari di polizia). La stessa procedura viene applicata anche in seguito: l’8 luglio Masha viene rilasciata ma, contestualmente, arrestata di nuovo con un’altra accusa, che la confina a quindici giorni di carcere. Nel settembre 2021, arriva definitivamente un’altra condanna di un anno, precisamente una condanna di “libertà limitata”.
Nel febbraio 2022, Masha viene nuovamente arrestata (l’accusa è di aver fatto propaganda pro-nazista) e confinata agli arresti domiciliari. La sua opposizione e denuncia della guerra Ucraina inasprisce la sua posizione, e il tribunale, nell’aprile 2022, converte la sua condanna ai domiciliari a una condanna in prigione, ufficialmente accusandola di aver eluso i domiciliari togliendosi il braccialetto elettronico. Masha, però, non si presenta al processo e viene condannata in contumacia; attualmente, l’attivista è in fuga, e il suo nome è stato inserito nella lista dei ricercati.
Masha è riuscita a lasciare Mosca travestendosi da rider; ora ha trovato rifugio in Lituania, dopo essere stata aiutata da un artista islandese che è riuscito a farle avere i documenti di viaggio per varcare il confine russo.
A cura di Chiara.
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