Ilaria Alpi

Ilaria Alpi è stata una giornalista italiana inviata del TG3, uccisa in Somalia insieme al proprio cameraman Miran Hrovatin mentre stava indagando su un traffico internazionale di armi e di rifiuti tossici.

La vita in breve

Ilaria Alpi nacque a Roma il 24 maggio 1961. Studiò e si diplomò al liceo linguistico Tito Lucrezio Caro di Roma, dove dimostrò le proprie competenze linguistiche sia in francese sia in inglese. E sempre alle lingue si dedicò anche all’università, dove aggiunse al proprio curriculum anche l’arabo. Il trinomio inglese-francese-arabo le permise di iniziare ben presto delle collaborazioni giornalistiche, iniziando come inviata dal Cairo per il quotidiano romano Paese Sera e il quotidiano, a livello nazionale, L’Unità. Grazie a una borsa di studio, iniziò a lavorare in RAI e diventò presto inviata del TG3.

L’inchiesta in Somalia

Nel 1991, in Somalia, dopo la caduta del presidente, generale e dittatore Mohammed Siad Barre, deposto dalla ribellione del popolo, scoppiò una sanguinosa guerra civile. Per tentare di fermare i massacri e contrastare la carestia, le Nazioni Unite organizzarono, verso la fine del 1992, la UNITAF, ossia la Unified Task Force, detta anche Operazione Restore Hope. L’UNITAF fu lanciata dopo una prima fallimentare operazione di pace nota come UNOSOM I (United Nations Operation in Somalia), iniziata nell’aprile 1992. L’UNITAF era gestita dagli Stati Uniti, con la collaborazione di altre Nazioni e un significativo contingente italiano, che operò in particolare nella zona di Mogadiscio.

Ilaria Alpi arrivò in Somalia proprio al lancio dell’operazione UNITAF, nel dicembre 1992, come inviata di guerra del TG3. Oltre a seguire l’andamento della missione Restore Hope, la giornalista avviò un’inchiesta sui rapporti ambigui che l’Italia aveva intrattenuto con la Somalia di Barre prima della caduta del dittatore, arrivando a grattare la superficie di un traffico internazionale di armi e di rifiuti tossici.

Il meccanismo era semplice: anziché smaltire correttamente i rifiuti tossici prodotti, alcuni Paesi industrializzati (tra cui forse l’Italia) avrebbero inviato tali rifiuti in alcuni Paesi africani, pagando la transazione con la fornitura di armi o l’esborso di tangenti. Secondo quanto scoperto da Ilaria Alpi, a essere partecipi dell’operazione sarebbero stati i Servizi Segreti italiani oltre al governo italiano, e probabilmente quelle stesse entità avevano giocato un ruolo nella morte misteriosa, nel novembre 1992, di Vincenzo Li Causi, sottufficiale del Servizio informazioni e sicurezza militare (SISMI), ossia l’agenzia di intelligence italiana attiva all’epoca. Proprio Li Causi sarebbe stato l’informatore della giornalista, il primo a metterla sulla pista del traffico di rifiuti tossici. 

L’attacco

Nel corso della propria inchiesta, Ilaria Alpi e il suo cineoperatore Hrovatin il 20 marzo 1994 si recarono nella Somalia settentrionale, nella città di Bosaso, dove incontrarono il leader della città, Abdullahi Moussa Bogor, che sembra abbia confermato i rapporti intrattenuti tra Italia e Barre. Terminata l’intervista, Ilaria e Hrovatin tornarono a Mogadiscio e, mentre si trovavano, in auto, nel tratto di strada tra il cinema Equatore e l’Hotel Hamana, nei pressi dell’ambasciata italiana, la strada fu loro sbarrata da un commando di sette uomini, che aprì il fuoco.  

Giovanni Porzio di Panorama e Gabriella Simoni di Studio Aperto arrivarono poco dopo sulla scena del crimine e spostarono i corpi su un’altra macchina per portarli via; la giornalista Gabriella Simoni insistette con dei colleghi della Televisione svizzera affinché filmassero le stanze di Ilaria e Hrovatin. 

Le inchieste giudiziarie

La procura di Roma e quella di Trieste avviarono due inchieste contro ignoti, per la morte, rispettivamente, di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. 

Dopo un paio d’anni, le indagini rivelarono che i colpi di pistola erano stati inferti a distanza ravvicinata, come durante un’esecuzione, smentendo le ipotesi avanzate subito nel maggio 1994, che invece sostenevano che i colpi erano stati sparati da lontano. Ma l’indagine era destinata a confondersi nei meandri della burocrazia e (forse) di un insabbiamento: quando le indagini, sotto la direzione di Giuseppe Pititto, sembravano procedere velocemente, avvicinandosi all’interrogatorio con due testimoni chiave (la guardia del corpo e l’autista di Ilaria e Hrovatin) nel 1997 il nuovo procuratore di Roma, Salvatore Vecchione, revocò improvvisamente l’incarico a Pititto. Fu lui ad ascoltare i due testimoni, che rilasciarono testimonianze discordanti sul perché e il come i due giornalisti si stessero recando all’hotel Hamana. Nel frattempo, un reportage di Panorama denunciò alcuni comportamenti violenti da parte dei militari italiani nei confronti dei civili somali nell’ambito della missione UNOSOM I e II, avanzando l’ipotesi che l’omicidio Alpi fosse connesso a scoperte in tal senso. In seguito, nel 1998, si mise in discussione la rimozione di Pititto da parte di Vecchione, non trovandoci alcuna motivazione legittima.

Nel 1998 Hashi Omar Hassan venne identificato da un tale Gelle come uno degli aggressori; l’uomo fu messo agli arresti e si proseguì a istruire un processo contro di lui, nel quale però il testimone chiave, Gelle, non comparì perché improvvisamente scomparso. Il 20 luglio 1999 Hassan fu dichiarato innocente, ma venne condannato all’ergastolo a seguito del processo di appello. Dopo diciassette anni di carcere, una revisione del processo portò nel 2016 alla scarcerazione di Hassan.

Ancora oggi, non esiste un colpevole per quel duplice omicidio. È probabile che l’intera indagine sia stata oggetto di insabbiamenti e depistaggi (come, per esempio, il sangue trovato sull’auto, che risultò non essere dei giornalisti). In memoria di Ilaria Alpi, dal 1995 viene conferito un apposito premio alle migliori inchieste televisive italiane; alla vicenda venne anche dedicato un film del 2003. 

A cura di Chiara.