La femme fatale nell’arte
La figura della femme fatale nell’arte è sempre esistita, in particolare modo nelle opere di alcuni grandi artisti delle epoche storiche più varie. La donna è sempre stato il soggetto pittorico di numerose tele; varie sono state le tipologie di donna rappresentata: dalla donna timida, alla donna misteriosa fino ad arrivare all’immagine di donna sensuale capace di fare innamorare perdutamente tantissimi uomini grazie al suo fascino.
In questo articolo si prendono in analisi le seguenti opere che ritraggono femmes fatales:
- Aurelia (L’amante di Fazio) di Dante Gabriel Rossetti
- Ritratto di Elizabeth Wharton Drexel di Giovanni Boldini
- Giove e Io del Correggio
Aurelia (L’amante di Fazio) di Dante Gabriel Rossetti
Aurelia (L’amante di Fazio) è un’opera artistica del celebre pittore Dante Gabriel Rossetti. Realizzato tra il 1863 ed il 1873 il dipinto è stato effettuato con la tecnica dell’olio su tavola e viene custodito presso la Tate Modern Gallery di Londra. Il tema del quadro è senz’altro quello dell’apparire e il soggetto rappresentato trae ispirazione da una celebre poesia di Fazio degli Uberti dedicata ad una donna, ovvero Angiola da Verona.
La giovane donna del dipinto viene ritratta nell’atto di guardarsi davanti allo specchio di mogano scuro, ma il suo sguardo sembra quasi perso nel vuoto. Ha lunghi capelli rossi avvolti in lunghe trecce che tocca con le mani. Aurelia, il soggetto del quadro, è seduta inoltre alla toeletta e davanti a sé vi sono un pettine, una spazzola e anche una boccetta di profumo. Attorno a lei lo spazio circostante è caratterizzato dalla presenza di una tappezzeria damascata, di un candelabro e anche altri oggetti di varia natura.
La modella che probabilmente posò per il Rossetti era probabilmente Fanny Cornforth che dal punto di vista fisico assomigliava probabilmente tantissimo ad Angiola da Verona, donna a cui era dedicata la celebre poesia di Fazio degli Uberti. Aurelia è una donna dotata di grande fascino, non solo la posa della donna è molto sensuale, ma anche le sue labbra color rosso rubino, i suoi capelli che le incorniciano il volto, le spalle sono scoperte e sono un ulteriore simbolo di fascino. Il suo sguardo è perso nel vuoto, quasi sognante a tal punto da ammaliare il pittore. Per l’uso del colore rosso molto vivo e delle pennellate molto ricche di questo dipinto e anche di altri, il Rossetti è stato accostato a Tiziano per il tipo di stile pittorico che adotta.
Ritratto di Elizabeth Wharton Drexel di Giovanni Boldini
Ritratto di Elizabeth Wharton Drexel è un dipinto celebre dell’artista Giovanni Boldini operante nel periodo storico della Belle Époque. Il ritratto è stato effettuato nel corso del 1905 con la tecnica pittorica dell’olio su tela e fa parte della celebre collezione The Elms (Preservation Society of Newport), Newport, Rhode Island, U.S.
La donna soggetto della tela è la nobildonna Elizabeth Wharton Drexel facente parte di una ricca famiglia di banchieri statunitensi, la quale era molto nota sia per essere molto ricca sia per i suoi tre matrimoni.
La donna si sposò infatti prima con John Vinton Dahlgren, che però morì dopo dieci anni dal loro matrimonio, poi con il freddo Henry Symes Lehr, che l’ha sposata soltanto per i suoi soldi e per la sua ricchezza e con cui ebbe un matrimonio solo di facciata ed infine con John Beresford, 5th Barone Decies, con cui ebbe una relazione più serena. La donna viene ritratta in tutta la sua bellezza, con indosso un abito arancione e dalle sfumature più chiare tipico della Belle Époque, con in braccio un cagnolino nero. L’acconciatura è anch’essa alla moda e le spalle sono scoperte e dall’incarnato rosa. Lo sfondo dietro di lei è chiaro invece. Giovanni Boldini in quest’opera vuole rappresentare il fascino femminile del soggetto rappresentato sia mediante la posa sia mediante l’abito molto femminile che indossa.
Giove ed Io del Correggio
Giove ed Io è un dipinto realizzato dal Correggio negli anni compresi tra il 1532 e il 1533 ed è custodito presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna. Questo celebre quadro fa parte della nota serie di dipinti appartenenti al ciclo pittorico de “Gli amori di Giove” che era stato eseguito su richiesta di Federico II Gonzaga, il duca di Mantova. In seguito alla realizzazione del noto quadro Venere e Amore spiati da un satiro, il Correggio ebbe talmente tanto successo che realizzò altre tre tele aventi come soggetto sempre il mito greco legato agli amori di Giove. Inizialmente queste tele dovevano essere realizzate per il Palazzo Te di Mantova, poi erano pervenute all’imperatore Carlo V in seguito alla morte del duca Federico II di Gonzaga avvenuta nel 1540.
L’opera fece parte successivamente di altre collezioni, girando il Continente europeo per poi entrare a far parte delle collezioni d’arte del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Il quadro descrive il mito di Io così come lo presentò Ovidio nelle celebri Metamorfosi: Giove si invaghì della fanciulla e per non farsi scoprire da Era, sua moglie, la sedusse trasformandosi in una fitta nebbia che era calata dal cielo sulla terra.
La ninfa Io viene rappresentata in una posa arcuata e di schiena dal Correggio, riprendendo i canoni stilistici dell’arte ellenistica. La fanciulla viene rappresentata in una posa sensuale secondo dei canoni stilistici tipici dell’antichità. Giove invece afferra Io sotto forma di una soffice ed eterea nuvola. Da notare il grande impegno con cui il Correggio cercò di rappresentare la nuvola che in ambito artistico era un particolare stilistico molto difficile da imprimere su tela.
Scrivi un commento