Cenni biografici di Artemisia Gentileschi
Artemisia Lomi Gentileschi nacque a Roma l’8 luglio 1593, figlia d’arte e primogenita del pittore pisano Orazio Gentileschi e di Prudenzia di Ottaviano Montoni, divenendo poi orfana di madre nel 1605.
Sin dalla fanciullezza, dimostrò un notevole interesse per il mondo dell’arte, in particolare per quello della pittura, incoraggiata e supportata dal padre che ella osservava durante il lavoro con diligenza e meraviglia, maturando così un considerevole talento formatosi – anche grazie alla guida vigile di Orazio – in una Roma che al tempo godeva di un grande valore artistico.
Per quanto il mondo dell’arte sia stato da sempre quasi totalmente padroneggiato dal genere maschile, divenendo così difficile per una donna emergere in tale settore, Artemisia Gentileschi non pose mai freno alla sua determinazione, portando la sua carriera artistica ad alti livelli: il 19 luglio 1666 – dopo un evento che sconvolse amaramente la vita dell’artista – fu la prima donna ad essere ammessa alla prestigiosa Accademia del Disegno di Firenze, potendo così fregiarsi del titolo di “pittora”.
Una vita illustre, dunque, ma non meno infausta: circa all’età di diciott’anni, Artemisia fu vittima di stupro ad opera di Agostino Tassi, pittore paesaggista e collaboratore di Orazio Gentileschi – fu proprio il padre, infatti, ad affidarla alla guida dell’amico; distrutta e provata dall’evento, ella fu inizialmente illusa dal Tassi con la promessa di sposarla – il cosiddetto “matrimonio riparatore” – per poi scoprire dopo un anno l’unione nuziale dell’artista con un’altra donna. Nel 1612 ebbe così inizio un lungo processo: Orazio Gentileschi portò in giudizio il Tassi che si avvalse di falsi testimoni.
Artemisia non ebbe certo un periodo semplice, sottoposta ad umilianti visite ginecologiche e alla tortura dei sibilli, rischiando la perdita dell’uso delle dita, danno elevatissimo per chi fonda la sua carriera sulla manualità.
Fu solo il 27 novembre 1612 che Agostino Tassi fu condannato al pagamento di una multa e all’esilio perpetuo da Roma, esilio però che non si concretizzò. La pittrice, infatti, vinse il processo solo “de jure” e, compromessa la sua reputazione, convolò a nozze il giorno successivo con il pittore toscano Pierantonio Stiattesi, con cui fuggì a Firenze, ove trovò serenità e grande successo.
Complici ma non innamorati: il matrimonio con Stiattesi fu destinato a fallire ben presto, lasciando spazio nel cuore di Artemisia a Francesco Maria Maringhi, ricco rampollo fiorentino; un’intensa storia d’amore testimoniata dalle 21 lettere recentemente trovate presso l’Archivio dei marchesi Frescobaldi a Firenze.
Della pittrice si apprende una vita lunga e travagliata ma non si conosce con assoluta certezza l’anno della sua morte; oggi si presume sia deceduta nel 1656 durante la devastante peste che colpì Napoli e che comportò la perdita di numerosi grandi artisti.
Divenuta simbolo di femminismo, emancipazione e libertà – ritratto di una donna coraggiosa – Artemisia Gentileschi ha contribuito a rendere fiorente il bagaglio della storia dell’arte, grazie alla realizzazione di numerose opere di inestimabile valore. Tra tante, particolare attenzione è rivolta ai suoi autoritratti.
• Autoritratto come martire
Autore: Artemisia Gentileschi
Datazione: 1615
Nome dell’opera: Autoritratto come martire
Tecnica: Olio su tavola
Dimensioni: 31,7×24,8 cm
Ubicazione: Collezione privata
Tra tutte le opere realizzate da Artemisia Gentileschi, attorno ad “Autoritratto come martire” aleggia una nube di mistero. Dagli studi operati, si presume che la delicata fanciulla protagonista del dipinto sia proprio la giovane Artemisia all’età di circa ventidue anni, adornata di un manto rosa e di un grande turbante blu ad arricchire la sua chioma ramata, in netto contrasto con la sua pelle di porcellana; sguardo fisso e guancia rosee, ella tiene in mano una piccola palma, simbolo di martirio.
Non vi sono ulteriori informazioni che spieghino chi sia il destinatario dell’opera, né il motivo che abbia spinto la pittrice a ritrarsi nei panni di martire.
• Autoritratto come suonatrice di liuto
Autore: Artemisia Gentileschi
Datazione: 1615-1617 circa
Nome dell’opera: Autoritratto come suonatrice di liuto
Tecnica: Olio su tela
Ubicazione: Curtis Gallery, Minneapolis
Da martire a suonatrice di liuto: questa la nuova veste di Artemisia Gentileschi, impegnata a sfiorare le corde del suo strumento che ella è intenta a suonare, fasciata da un pregevole abito, in chiaro stile mediceo di inizio Seicento.
Il ritratto della giovane suonatrice, posta in risalto su uno sfondo buio, ricalca lo stile e la tecnica dell’artista Caravaggio: l’uso del chiaroscuro, piegato agli intenti dell’artista e utilizzato per mettere in risalto ciò che realmente occorre mostrare, così come i colori, caldi, avvolgenti, ricchi di emotività; non solo, anche l’allusione ai piaceri e alla sessualità è un chiaro richiamo allo stile caravaggesco, stile che Artemisia ebbe sempre a cuore.
• Autoritratto come allegoria della pittura
Autore: Artemisia Gentileschi
Datazione: 1638-1639 circa
Nome dell’opera: Autoritratto come allegoria della pittura
Tecnica: Olio su tela
Dimensioni: 98,6×75,2 cm
Ubicazione: Kensington Palace, Londra
Dovesse risultare corretta la datazione del dipinto, Artemisia Gentileschi fu all’epoca una donna a cavallo tra i quarantacinque e i quarantasei anni di età, un po’ avanti negli anni per essere una giovane donna intenta a dipingere su una grande tela.
L’opera si allontana dalle caratteristiche vere e proprie dell’autoritratto, lasciando più ampio spazio all’allegoria: l’artista raffigura una donna con i suoi medesimi tratti fisici, un ideale di sé e non una realizzazione effettiva della medesima; Artemisia Gentileschi, dopotutto, era solita tratteggiarsi nelle sue opere, come testimoniano le figure femminili di origini bibliche alle quali donava le sue sembianze fisiche.
Eccola come personificazione della Pittura: il collo adorno d’una collana d’oro, intenta a dipingere una tela che non vediamo su cui poggia il pennello retto dalla mano tesa, una tavolozza di colori nell’altra. La postura assunta non concilia con le caratteristiche di un autoritratto: la Gentileschi non guarda frontalmente l’osservatore, portando così a dubitare sul fatto che la donna ritratta sia effettivamente la stessa artista o una modella.
Risulta chiaro come l’arte di Artemisia Gentileschi sia votata a raccontare storie, emozioni, personaggi, tematiche; un’arte totalmente femminile e reale: la pittrice racconta infatti storie di donne, storie di sé.
Ne traspare un’artista libera e colta, forte e padrona di sé, un’artista che si mette e mette a nudo una società fortemente maschilista che l’ha giudicata e a volte condannata.
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